Le Ong femminili rischiano la chiusura in massa per i tagli agli aiuti internazionali. Le donne nei conflitti restano senza assistenza: partoriscono senza cure, subiscono violenze senza protezione e perdono diritti faticosamente conquistati
Secondo l’ultimo allarme lanciato da UN Women e da numerose Ong attive sul campo, la riduzione drastica dei finanziamenti da parte dei principali Paesi donatori sta mettendo in ginocchio le organizzazioni che forniscono supporto vitale a donne e ragazze nelle aree colpite da guerra, crisi umanitarie e disastri economici, da Gaza all’Ucraina, fino alla Repubblica Democratica del Congo e al Camerun.
Le donne incinte costrette a partorire nei campi profughi senza assistenza ostetrica. Le ragazze private dell’istruzione, costrette al matrimonio precoce o al lavoro minorile. Le sopravvissute a violenze sessuali lasciate senza rifugi, protezione o supporto psicologico. Non si tratta di scenari ipotetici o di previsioni allarmistiche: è la realtà concreta e quotidiana che si sta verificando in molte zone del mondo a causa dei tagli agli aiuti umanitari internazionali.
Secondo un’indagine condotta a marzo su oltre 400 organizzazioni per i diritti delle donne in 44 Paesi, quasi la metà di questi gruppi rischia di chiudere entro sei mesi. Più del 70 per cento ha già dovuto licenziare personale o sospendere servizi fondamentali, con impatti devastanti sulla vita delle beneficiarie.
“In parole semplici, donne e ragazze moriranno per il mancato accesso a questi servizi”, ha dichiarato Sabine Freizer Gunes, rappresentante di UN Women in Ucraina. I tagli mettono a rischio diretto la sopravvivenza di intere comunità femminili già fragili, spesso prime vittime della guerra e della povertà.
Crisi finanziaria globale dell'aiuto pubblico allo sviluppo
Nel 2024, per la prima volta in sei anni, l’ammontare globale degli aiuti allo sviluppo (Oda) ha subito una significativa battuta d’arresto. I dati dell’Ocse parlano chiaro: 212 miliardi di dollari stanziati nel 2023, in calo del 7,1 per cento rispetto all’anno precedente. A questa tendenza negativa hanno contribuito molti tra i principali donatori globali: Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e l’Unione europea hanno tutti annunciato o già attuato tagli per un totale di 30 miliardi di euro nei prossimi quattro anni.
L’amministrazione dell’ex presidente Donald Trump ha contribuito in modo decisivo allo smantellamento dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale (Usaid), una mossa che ha privato il sistema umanitario globale di miliardi di dollari destinati a progetti vitali, specialmente per le donne e le ragazze nei contesti di crisi.
Secondo UN Women, a essere colpite in modo sproporzionato sono le organizzazioni locali guidate da donne. Spesso più vicine ai bisogni reali delle comunità, più agili nel rispondere alle emergenze e meno costose rispetto alle grandi Ong internazionali, queste realtà vengono però sistematicamente ignorate o marginalizzate dai meccanismi internazionali di finanziamento. I fondi sono raramente flessibili, vincolati a progetti a breve termine e con requisiti burocratici spesso insostenibili per piccole realtà.
Donne in prima linea ignorate dal sistema
Le testimonianze raccolte da Euronews e da UN Women dipingono un quadro drammatico. In Ucraina, un’organizzazione per i diritti delle donne è riuscita a malapena a garantire consulenze telefoniche alle proprie beneficiarie: donne sopravvissute a violenze, sieropositive, ex detenute e lavoratrici del sesso che oggi vivono nell’abbandono istituzionale. In luoghi come Gaza, il Camerun o la Colombia, le ONG femminili rappresentano spesso l’unico punto di riferimento per donne e ragazze in pericolo. Tuttavia, la loro esistenza stessa è ora minacciata.
Dorothy Sang di CARE International UK ha sottolineato come i tagli non rappresentino solo “numeri su un foglio di calcolo”: si tratta di vite reali, di bambini che crescono senza istruzione, di donne che rischiano la vita durante il parto, di rifugi chiusi a chi ha subito violenza. In questo contesto, il rischio concreto è che gli anni di progressi compiuti a fatica verso la parità di genere vengano cancellati nel giro di pochi mesi, lasciando spazio a un’ulteriore marginalizzazione delle donne e a un rafforzamento dei movimenti anti-gender.
Un reset umanitario necessario: servono fondi flessibili e fiducia nei gruppi locali
L’appello delle organizzazioni umanitarie e dei rappresentanti delle Nazioni Unite è chiaro: occorre ripensare radicalmente il sistema di aiuti. I fondi devono essere resi più flessibili, i donatori devono imparare a fidarsi dei gruppi locali e femminili, e devono investire in modo strutturale, a lungo termine, nella loro sostenibilità. Le donne e le ragazze devono essere messe al centro delle strategie umanitarie, non solo perché ne hanno diritto, ma anche perché, come dimostrano le crisi recenti, sono loro le prime a prendersi cura delle famiglie, delle comunità e dei feriti.
“Abbiamo ora l’opportunità di dare forma a un reset umanitario che metta davvero le donne e le ragazze al centro — ed è ora di farlo”, ha affermato April Pham dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha). Non si tratta solo di giustizia sociale: è una questione di efficacia, di sopravvivenza e di civiltà.
In un mondo sempre più attraversato da conflitti, disuguaglianze e emergenze climatiche, privare le donne e le ragazze dei pochi servizi che garantiscono loro dignità, protezione e opportunità non è solo un errore. È una condanna.