I 61 milioni di elettori iraniani sono chiamati a rinnovare il parlamento e l'Assemblea degli esperti, ma gli osservatori prevedono una bassissima affluenza. A pesare sull'astensionismo la crisi economica e la dura repressione delle proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini nel settembre 2022
Venerdì 1° marzo si terranno le elezioni parlamentari in Iran. La vera questione, però, non sarà chi verrà eletto, bensì quante persone si presenteranno effettivamente alle urne.
I 61 milioni di elettori iraniani sono chiamati a scegliere tra 15mila candidati per rinnovare i 290 membri del Parlamento e gli 88 membri dell'Assemblea degli esperti, un organo che ha il compito di nominare o eventualmente revocare la Guida suprema del Paese, che di fatto detiene il potere assoluto: dal 1989 è il Grande ayatollah Ali Khamenei.
Gli osservatori prevedono un'affluenza molto bassa, che rappresenta una sfida importante per il regime: fin dalla Rivoluzione islamica del 1979 la teocrazia iraniana ha basato buona parte della sua legittimità proprio sul plebiscito popolare.
Gli ultimi sondaggi parlano di un 77 per cento di elettori che diserterà le urne. L'8 per cento non ha ancora deciso e solo il 15 per cento è sicuro di andare a votare. A questo punto le elezioni potrebbero trasformarsi in una sorta di referendum sulla Repubblica islamica.
I fattori che hanno alimentato il dissenso verso il regime in Iran
A pesare sull'astensionismo sono molteplici fattori interni ed esterni. Gli iraniani sono sempre più frustrati per l'incapacità del governo di rispondere alle richieste di progresso economico e di maggiori libertà civili.
I dati ufficiali mostrano un tasso di inflazione vicino al 50 per cento, con i beni di prima necessità, in particolare i generi alimentari, che subiscono periodici aumenti di prezzo. Milioni di iraniani vivono sotto la soglia di povertà e la disoccupazione giovanile supera il 15%, con una popolazione dall'età media di 33 anni.
Nel mirino degli scontenti c'è soprattutto il presidente ultra conservatore Ebrahim Raisi, accusato di aver fallito gli obiettivi economici, con il Pil pro capite crollato del 28 per cento rispetto a gennaio 2023.
Pesa il ricordo della repressione del movimento "Donna, vita e libertà"
Alla preoccupazione per la crisi economica si aggiunge il veto imposto alla candidatura di un gran numero di esponenti e attivisti e soprattutto il bruciante ricordo della dura repressione del movimento di protesta anti governativa "Donna, vita e libertà", innescato dalla morte di Mahsa Amini nel settembre del 2022.
La studentessa curdo-iraniana, 22 anni, era morta a Teheran mentre era in custodia della polizia morale, che l'aveva arrestata per aver indossato male l'hijab, obbligatorio in Iran. La sua morte aveva portato in piazza, per mesi, decine di migliaia di persone, soprattutto giovani e giovanissimi, soprattutto donne che hanno sfidato il regime mostrandosi a capo scoperto.
In un anno e mezzo sono stati oltre 18mila gli arresti, quasi seicento le vittime, migliaia i feriti. La teocrazia al potere ha mostrato il suo volto più spietato, condannando a morte con processi sommari decine di giovani manifestanti. Nove di loro sono stati uccisi, alcuni impiccati in pubblica piazza.
Molti iraniani non hanno dimenticato quei giorni di protesta e non andranno a votare in segno di solidarietà. "Boicottare queste elezioni è undovere morale per tutti gli iraniani che amano la libertà e vogliono la giustizia", ha detto dal carcere di Evin l'attivista Narges Mohammedi, premio Nobel per la Pace del 2023.