Fuga di cervelli dalla Russia: decine migliaia hanno lasciato il paese dall'inizio della guerra

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Di Monica Pinna
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Le menti più brillanti stanno lasciando il Paese in massa. Dove vanno? Cosa li ha spinti? Il nostro reportage da Berlino

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Sono artisti, giornalisti, informatici, accademici. Le menti più brillanti della Russia stanno lasciando in massa il Paese. Dove vanno? Cosa li ha spinti? Che Paese si lasciano alle spalle? Lo scopriamo assieme da Berlino.

Anna Demidova ha una compagnia teatrale indipendente a Mosca. E' una regista. Ha lasciato la Russia l'8 marzo. È convinta del ruolo sociale e politico dell'arte. L'ho incontrata nel quartiere del Mitte, nel centro di Berlino. Mi ha raccontato che dall'inizio della guerra ha partecipato a ogni singola protesta e ne ha organizzate alcune. E' stata la sua famiglia a spingerla a partire, erano preoccupati per lei.

"Prima che Putin iniziasse questa guerra - ha detto Anna - stavo cercando di investire tutta ma stessa come persona, come cittadina e anche come artista per far capire alla gente che abbiamo bisogno di più responsabilità, che dobbiamo partecipare alla vita politica. Perché la gente non capisce la politica. Non è interessata. Non gliene frega niente di quello che succede in Russia". 

"La guerra ha significato la fine di tutto", mi ha raccontato Anna. Dopo l'inizio della guerra, ha sentito che tutto quello che stava facendo era "inutile": 

"Una parte di me non riusciva a capire cosa stesse accadendo, ma l'altra parte ha realizzato che quanto sta accadendo è la continuazione logoca di ciò che Putin ha fatto negli ultimi 20 anni - ha detto Anna -. Il nostro Paese è diventato più militarista. Mio nonno e tutti i miei parenti dicevano che una guerra non sarebbe mai più dovuta accadere. Il motto per le celebrazioni della fine della Seconda guerra mondiale era 'mai più'. Ma a un certo punto Putin lo ha trasformato in 'possiamo rifarlo'. Il che è assolutamente folle".

Il giro di vite sulla libertà di espressione in Russia ha portato anche molti giornalisti ad andarsene. Intervistare colleghi costretti a fuggire all'estero ha suscitato in me molte riflessioni. Il nostro lavoro consiste nell'essere testimoni della nostra società, degli eventi di oggi, e renderli pubblici. Una missione che ogni anno continua a costare la vita a decine di giornalisti in tutto il mondo. Cinquatacinque solo l'anno scorso, secondo l'Unesco. Giornalisti, fotografi e videomaker continuano a morire in Ucraina e sono a rischio in Russia. Angelina Davydova, nota giornalista ambientale di San Pietroburgo, ha impiegato una settimana per mettere il suo mondo in valigia.

"L'attuale invasione dell'Ucraina non distrugge un solo Paese, ma due". -
Angelina Davydova
Giornalista ambientale russa

"Ho capito che se voglio continuare il mio lavoro e se voglio continuare a esprimere pubblicamente ciò che penso nei media ma anche nei social media, devo prendere una decisione - ha detto Davydova -. O rimango nel Paese e divento silenziosa, o rimango nel Paese in una situazione di paura costante  se continuo a parlare pubblicamente, o lascio il Paese. Ho deciso di lasciare il Paese".

"Ho sempre pensato che anche quando c'erano tendenze politiche negative, c'era ancora spazio per agire - ha aggiunto Davydova -. Quello che vedo ora è che molte di queste azioni concrete e specifiche sono state schiacciate da questa decisione politica (l'entrata in guerra), che in realtà non ha nulla a che fare con la vita delle persone nel Paese o con il loro benessere o il loro futuro".

Che si tratti di giornalisti e artisti che denunciano la limitazione della libertà di parola in Russia o di informatici che usano le loro competenze per dare spazio online ai dissidenti, i Russi che ho incontrato a Berlino sono tutti determinati a usare le loro capacità per promuovere il cambiamento. Dall'estero.

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