Dalla Peste nera al Covid: la storia della mascherina in Europa è lunga almeno 4 secoli

oliziotti a Seattle indossano maschere della Croce Rossa durante la pandemia del 1918
oliziotti a Seattle indossano maschere della Croce Rossa durante la pandemia del 1918 Diritti d'autore Wikimedia commons
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Di Marta Rodriguez MartinezEuronews
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Già durante la pandemia del XVII secolo, i "medici della peste" giravano con lunghe maschere che li facevano rassomigliare a corvi antropomorfi. Ecco perché si diffuse questa usanza

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Durante l'ultima apparizione della peste nera i medici indossavano maschere facciali che erano assai lontane dall'immaginario attuale. Con lunghi "becchi" e spesse lenti a proteggere gli occhi, sembravano riprodurre le fattezze craniche dei corvi. La protuberanza all'altezza della bocca serviva in realtà ad apporre al suo interno piante e spezie aromatiche, mantenendo al contempo le distanze dal respiro dei malati.

Era la metà del XVII secolo e in Europa imperversava una delle pandemie più devastanti della storia umana. E la tetra maschera dei "medici della peste", oltre ai loro lunghi mantelli cerati, si rivelò una delle poche misure utili a schermarsi dal contagio, anche se per ragioni diverse da quelle che si immaginavano all'epoca.

Quattro secolo dopo, in tutta Europa si riprende, ancora una volta, a coprirsi il volto.

In Italia, dove l'Anci è in pressing serrato per ripristinare l'uso obbligatorio delle mascherine anche all'aperto, sono già 30 i sindaci che si sono portati avanti, firmando ordinanze in questo senso. Molti altri paesi - come Olanda, Belgio e Regno Unito - hanno dovuto invece fare marcia indietro circa l'obbligo, decaduto nella tarda primavera, di proteggersi il volto nei luoghi pubblici al chiuso.

Sebbene fossero andate scomparendo nei mesi scorsi, le mascherine hanno mostrato la facilità con cui l'umanità si adatta: se fino al 2019 erano un accessorio insolito nelle strade europee, oggi sono pressoché onnipresenti. In Spagna, ad esempio, subito prima dell'allentamento estivo, un'indagine del Centro spagnolo di ricerche sociologiche (CIS) aveva evidenziato come il 99,4% dei cittadini iberici le indossasse regolarmente.

Dalla peste nera al coronavirus

Le tetre e pittoresche maschere utilizzate durante la Peste Nera sono oggi una decorazione folkloristica, tipica del carnevale di Venezia. Ma la loro storia ci permette di toccare con mano come la protezione facciale in Europa abbia rappresentato una misura preventiva, durante le epidemie, fin dal Medioevo.

"Sebbene l'uso diffuso della mascherina ci sembri una misura preventiva senza precedenti, è stato segnalato molte volte nella storia quando la situazione sanitaria lo richiedeva", spiegano a Euronews le storiche María e Laura Lara. "Le mascherine, spesso disprezzate e derise, si sono evolute parecchio nel corso del tempo".

Autrici di The Yellow Horses: Diseases No One Saw Coming , le due storichesi hanno ripercorso secoli di storia per stilare una retrospettiva dell'uso della mascherina, una prassi che secondo le loro ricerche risale almeno al VI secolo a.C. La prova di ciò sarebbe nelle porte delle tombe persiane, dove sono state trovate immagini di persone con un panno sulla bocca.

"Secondo Marco Polo, i servi nella Cina del XIII secolo si coprivano il viso con sciarpe tessute", spiega Laura Lara. "L'idea era che l'imperatore non volesse che il loro alito intaccasse l'odore e il sapore del suo cibo".

La micidiale peste nera, che uccise almeno 25 milioni di persone tra il 1347 e il 1351, stabilì il ruolo della maschera come strumento medico.

Tre secoli dopo, con il diffondersi dell'epidemia di peste bubbonica, la maschera facciale dei medici della peste "divenne il simbolo stesso della malattia" sottolineano le sorelle Lara. "Quella sinistra immagine di un individuo con una maschera da uccello che sembrava l'Ombra della Morte emerse negli ultimi spasimi dell'epidemia, a metà del XVII secolo".

Per le due storiche, si trattava "senza dubbio della più strana uniforme che la medicina abbia mai prodotto".

"A forma di becco d'uccello, era accompagnata da occhiali, un lungo vestito di stoffa cerata, pantaloni e guanti di pelle e un bastone per toccare o allontanare i malati".

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Paul Fürst, incisione del 1721: un medico della peste di Marsiglia (presentato come "Dottor Beaky, da Roma"). La sua maschera era piena di erbe per scongiurare i miasmiWikimedia commons

C'erano in realtà ragioni precise dietro questa particolare estetica: "alcuni credevano che la malattia si diffondesse attraverso l'aria avvelenata o 'miasmatica', creando uno squilibrio nei fluidi corporei di una persona", afferma Laura Lara. "Cercavano quindi di impedire all'aria 'fetida' di raggiungerli coprendosi il viso con fiori ed essenze profumate".

Il beccuccio fungeva infatti da spazio dove collocare profumi, spezie ed erbe aromatiche per contrastare il cosiddetto "miasma". Quest'ultima idea fu superata nel XIX secolo, ma nonostante ciò si rafforzò comunque la necessità di coprirsi il viso, con la scoperta del francese Louis Pasteur dell'esistenza di agenti infettivi microscopici.

"Di fronte a questo cambiamento di paradigma, un medico tedesco, Carl Flügge, dimostrò che questi nuovi microbi potevano essere trasmessi da individuo a individuo anche a distanza, attraverso goccioline forse invisibili", spiega la storica María Lara. "Per questo, Flügge chiese al professore di chirurgia Jan-Antoni Mikulicz Radecki di progettare una maschera per i chirurghi, onde evitare di contaminare i loro pazienti".

La "benda per la bocca", secondo le due storiche, era molto più simile all'attuale mascherina, poiché si trattava di un impacco di mussola, ma lasciava la bocca aperta, poiché copriva solo naso e narici.

"Indossa una mascherina e salvati la vita"

Il consolidamento dell'uso della mascherina avvenne nel XX secolo, con la pandemia del 1918, comunemente nota come "influenza spagnola", perché la Spagna, neutrale nella prima guerra mondiale, fu il primo paese a denunciarne la presenza.

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La "spagnola" uccise almeno 50 milioni di persone nel mondo e si ritiene che le ondate di sfollamento, e il conseguente sovraffollamento, innescate dalla guerra (1914-1918) abbiano accelerato il contagio.

"Le truppe stipate nei vagoni e nei camion sostenevano che l'infezione, altamente contagiosa, passasse da un uomo all'altro" spiegano sorelle Lara. "Dalle stazioni ferroviarie , quindi, il contagio si diffondeva nei centri urbani, e da lì alle periferie e alle campagne".

Diverse aziende, tra cui la London General Omnibus Co, cercarono, secondo le storiche, di frenare la diffusione dell'infezione "spruzzando una soluzione antinfluenzale su treni e autobus e facendo indossare ai propri dipendenti delle mascherine".

I cittadini comuni furono inoltre esortati attraverso slogan - 'indossa una maschera e salvarti la vita' - pressoché identici a quelli sentiti negli ultimi due anni.

Pochi anni dopo, la seconda guerra mondiale stabilì gli standard per la produzione delle mascherine chirurgiche, "che si sono poi distinte dai dispositivi di protezione delle vie respiratorie come le FFP2/KN95", osservano le storiche.

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Sempre nel XX secolo, le mascherine cominciarono a prendere piede come elemento protettivo contro l'inquinamento atmosferico che, due secoli dopo l'inizio della Rivoluzione Industriale, stava diventando sempre più presente nelle grandi città. "Negli anni '30, le maschere 'anti-smog' diventarono di rigore sul viso quanto i cappelli di feltro sulla testa", notano le sorelle Lara.

Le due storiche fanno anche notare come il peggior episodio di intossicazione da smog mai registrato si sia verificato a Londra nel 1952: “Tra il 5 e il 9 dicembre almeno 4.000 persone ne morirono, e si stima che altre 8.000 vittime si registrarono nelle settimane e nei mesi successivi”.

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Giovedì 1 luglio 2021: due donne indossano maschere per il viso camminando per le vie dello shopping di Asakusa, TokyoWikimedia commons

Ma l'uso delle mascherine per la protezione dall'inquinamento non si è mai diffuso in Europa quanto lo ha fatto in Asia.

"Il Giappone usa questi presidi da decenni, persino secoli, come elemento della vita quotidiana", afferma Laura Lara. "Diversi analisti sottolineano che questa usanza, che si osserva da decenni nella società giapponese, è una delle ragioni alla base del basso tasso di infezioni e decessi per COVID-19".

Di certo, anche in Europa diverse generazioni ricorderanno di aver dovuto, giocoforza, imparare a fare i conti con questa misura di protezione. Ma non è affatto scontato che la mascherina riuscirà a penetrare la nostra quotidianità, quando la crisi sarà rientrata

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