Guerra e pace: il gioco dell'oca in Afghanistan

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Ponte aereo Diritti d'autore Tech. Sgt. Maeson Elleman/AP
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Di Paolo Alberto Valenti
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Il lungo addio dall'Afghanistan si consuma in realtà da anni e i traffici nelle retrovie sono in parte già predefiniti. Le grandi incertezze soprattutto umanitarie non sembrano la priorità per tutti

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Che ne sarà dell’Afghanistan? Alla domanda le cancellerie europee rispondono con l’iniziativa di Francia e Regno Unito che chiedono alle Nazioni Unite la creazione a Kabul di una "zona sicura" per consentire il proseguimento delle operazioni umanitarie, come indicato espressamente dal presidente francese Emmanuel Macron. Una soluzione che dovrebbe, se non tenere al guinzaglio i talebani, almeno garantire una costante pressione diplomatica sulla regione ed evitare ulteriori figuracce delle potenze occidentali (dopo l’Afghanistan quale paese potrà pensare che la Nato è in grado di portare agevolmente democrazia e pace?).

Le mille e una notte a Baghdad

Intanto l’iniziativa diplomatica francese a Baghdad ci rivelerà in breve se gli intenti resteranno sogni da mille e una notte oppure si riuscirà a scovare credibili mediatori che poi i talebani staranno a sentire: forse il Qatar? La Cina? La Francia punta sull'aiuto del Qatar che, grazie ai suoi buoni rapporti con i Talebani, avrebbe “la possibilità di organizzare operazioni di trasporto aereo o di riaprire alcune compagnie aeree", ha precisato sabato Macron da Baghdad.

I pesi massimi dell'area

Anche la Russia di Vladimir Putin si è espressa nel senso di una “necessità” di coordinare gli approcci al problema afghano nell'ambito del Consiglio di sicurezza dell’ONU e del G 20. Tutti comunque agitano lo spauracchio (piuttosto concreto) del terrorismo.

La lunga ombra gialla

Pechino fa profilo basso ma è solo apparenza. Le mele cinesi (e non solo quelle) si mangiano in tutto l’Afghanistan da decenni. Le aderenze territoriali fra il colosso asiatico e il tormentato Afghanistan, sono superior ai soli 76 km di frontiera del Corridoio di Wakhan, quell'impervia lingua di terra che (lunga circa 300 km e larga 60) fiancheggia la catena montuosa del Pamir e collega l’Asia centrale alla regione dello Xinjiang. In realtà Pechino ha investito sull'Afghanistan negli ultimi anni almeno 4 miliardi di dollari quindi il rapporto con i Talebani resta una necessità inderogabile, un investimento che può fruttare molto. Le ingenti ricchezze minerarie afghane sono un’esortazione improrogabile per la Cina che può giocare sulla doppietta del risiko che consente di mettere lo zampino geopolitico fra Russia e India e contemporaneamente anche su un potenziale lucroso business minerario.

La pacificazione a buon mercato

Sullo sfondo di una pacificazione che sia credibile, di tutto si parla fuorché di trasformazioni veramente radicali delle strategie occidentali nell'insieme delle regioni più disagiate del pianeta.

Sui social si sono moltiplicate le foto della 23enne Nicole Gee, la soldatessa di Sacramento che aveva posato con in braccio un neonato afghano e che è rimasta schiantata anche lei dall'azione dei kamikaze a Kabul.

I Talebani hanno annunciato l’assunzione del "pieno controllo" dell'aeroporto della capitale quando tutti i militari e civili Usa saranno partiti. Ma il pieno controllo dell’insieme dell’Afghanistan potrebbe risultare un’utopia.

AP Photo
aeroporto KabulAP Photo

Va ricordato che il rigore dei Talebani si intreccia col prevalente tratto etnico. La società afghana resta fortemente tribale. Il rigore dei Talebani non è esclusivamente religioso (l’Islam di Deoband e hanafita) anzi sembra più legato alla cultura pashtun, sulle tradizioni pashtun con precise regole tribali che da secoli hanno depotenziato e reso subalterno il ruolo delle donne.

Per fustigare le inadempienze occidentali molti media hanno “magnificato” la vittoria talebana in Afghanistan incoronata da scatti e filmati dei vincitori che con abiti sontuosi ed etnici si sono impossessati del palazzo presidenziale di Kabul. In realtà sono gli USA che sgomberano il campo (piuttosto rovinosamente) e il risultato è quello di un gioco di vasi comunicanti: Washington da tempo riteneva insostenibile la prosecuzione della presenza in area e le milizie dei montanari Talebani si sono allargate in fretta fino a recuperare buona parte del territorio nazionale.

Per gli occidentali resta comunque difficile mettere insieme il puzzle del mosaico afghano. Inglesi, russi, statunitensi hanno da secoli dimostrato di non saper fare né la guerra né la pace da quelle parti. Si può arrivare a dire che in questa porzione di Asia non esiste una identificazione precisa fra l’individuo e il territorio come le categorie occidentali volevano determinare e imporre.

Anja Niedringhaus/AP
Talebani di etnia pashtunAnja Niedringhaus/AP

Le tante etnie afghane risalgono in buona percentuale a popolazioni nomadi che hanno anche avuto coraggio nel continuare a stanziarsi in zone tanto inospitali. Per decidere di rimanere qui si resta per ragioni di comunità (tribali appunto) non di vago patriottismo. Quindi sì, tecnicamente i Talebani hanno in mano Kabul ma ci sono tornati dopo 20 anni. Il rischio è che il risultato possa entusiasmare altri movimenti radicali e jihadisti della regione con la dimostrazione che se si resta appollaiati per anni sulle montagne prima o poi si riconquistano le città.

Le congratulazioni di al-Qaeda

Risulterebbe che certi rami di al-Qaeda (da sempre vicina agli "studenti coranici") si sono congratulati per la nascita del nuovo Emirato. Se puntano ad una reale omologazione i Talebani cercheranno di sopprimere le cellule dello Stato islamico presenti in Afghanistan, da qui la solerte, sorprendente collaborazione con gli Usa. La missione comunque non è semplice anche perché le motivazioni, al fin della fiera, risalgono esclusivamente alla conquista del potere, la religione non c’entra più nulla.

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