Ventinove atleti da Siria, Eritrea e altri nove paesi. Annunciata la composizione della "squadra dei rifugiati" che concorrerà alle Olimpiadi di Tokyo. La capitana: "In pista non porteranno solo se stessi, ma la testimonianza della loro Odissea"
Vengono da Siria, Sud Sudan, Eritrea e altri otto paesi. Prima ancora delle prestazioni sportive, ad accomunarli è il passato di sofferenza e violenze, che li ha portati a lasciare i rispettivi paesi, Sono gli sportivi, che alle Olimpiadi di Tokyo porteranno la bandiera della squadra dei rifugiati: 29 atleti, rappresentativi di 12 discipline, che in pista porteranno anche la testimonianza della loro Odissea personale.
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"Da ex atleta credo che riuscirò a mettere l'esperienza maturata anche in zone di conflitto, a servizio dei membri della nostra squadra - dice la capitana, Tegla Loroupe -. Il loro compito in pista sarà rappresentare l'intera comunità mondiale dei rifugiati. Il nostro grazie va quindi alle Nazioni Unite, che ci hanno offerto questa opportunità".
Ai membri della squadra, il Comitato Olimpico Internazionale ha offerto delle borse di studio, volte a permetter loro di fare dello sport un vero strumento di integrazione. "Tutto è iniziato nel 2015 con la crisi dei rifugiati - racconta il presidente del CIO, Thomas Bach - . Tra loro dovevano necessariamente esserci anche degli atleti e ci siamo allora chiesti che che genere di opportunità potessimo offrire loro. Le problematiche all'origine della creazione di questa squadra purtroppo persistono. Anzi. Il numero di persone costrette a lasciare il proprio paese è addirittura aumentato".
Se per molti di questi atleti si tratterà di un'indimenticabile prima volta, sei di loro hanno già partecipato ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro nel 2016. Ma da allora, l'avventura ha preso ben altre proporzioni. E il numero di atleti reclutati è praticamente triplicato.