Etiopia, ultimatum ai ribelli del Tigrè: "Arrendetevi"

Non succede nei Paesi deprivati: capita in Etiopia, nell'Africa che cresce a due cifre e che può schierare un primo ministro, Abiy Ahmed, premio Nobel per la Pace nel 2019.
Ma la pace raggiunta con la vicina Eritrea, apprezzata a Stoccolma, non ha escluso la guerra interna.
La situazione in Etiopia precipita: la regione settentrionale del Tigrè è teatro di aspri scontri tra le forze governative e il Fronte di Liberazione.
Dopo 20 giorni di combattimenti e centinaia di morti, anche tra la popolazione civile, il premier etiope ha lanciato il suo ultimatum ai ribelli: 72 ore di tempo per arrendersi.
Nella regione il governo ha tagliato la luce, la rete telefonica e internet, cercand di derubricare il conflitto a "questione interna".
Ma la fuga dei civili verso il Sudan che già ospita decine di migliaia di profughi del Tigrè ha, al contrario, acceso i riflettori sulla lotta intestina.
Nel tweet del primo ministro Abiy Ahmed Ali: "Il governo etiope è pronto ad accogliere e reintegrare i nostri connazionali in fuga verso i Paesi vicini. Giuriamo ai nostri civili innocenti che sono fuggiti, di proteggere le loro proprietà, di permettere il sostegno umanitario da parte dell'ENDF e di garantire la pace al loro ritorno".
Le tensioni con il governo regionale del Tigrè sono legate soprattutto all’esclusione del partito dominante della regione, il Fronte di liberazione, dall'esecutivo federale. Un allontanamento cominciato proprio con l'arrivo al potere del primo ministro Abiy Ahmed, che non ha riconosciuto all'etnia tigrina - il 6 per cento circa della popolazione etiope - il diritto a essere rappresentata.
Le parti in conflitto si accusano reciprocamente di aver bloccato l’accesso agli aiuti internazionali.
L’Onu teme il disastro umanitario, con milioni di persone che potrebbero presto rimanere senza cibo e carburante.