Brexit: primo sì del Parlamento britannico, ma per Johnson ancora problemi

Il premier britannico Johnson
Il premier britannico Johnson Diritti d'autore Kirsty Wigglesworth/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved
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Pioggia di critiche su Boris Johnson, che deve guardarsi le spalle anche dai detrattori "interni"

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Con 340 voti a favore e 263 contrari, il Parlamento britannico ha dato il primo via libera al controverso disegno di legge sostenuto dal Governo di Boris Johnson, che di fatto permetterebbe a Londra di ignorare ampie parti dell'accordo sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea.

Il Premier deve tuttavia affrontare la continua opposizione al disegno di legge da parte di alcuni ambienti all'interno del suo stesso Partito.

Figure di alto livello intendono opporsi in una fase successiva, sulla base del fatto che infrangerebbe il Diritto internazionale.

Il Premier aveva parlato di "misura necessaria" per proteggere l'Irlanda del Nord e il resto del Paese nel caso in cui i negoziati ancora in corso per un accordo commerciale dovessero fallire.

"Ora che abbiamo lasciato l'UE nel periodo di transizione che sta per scadere, abbiamo bisogno di una nostra legge per preservare le disposizioni da cui dipendono tanti posti di lavoro.

Questo è lo scopo fondamentale di questo disegno di legge, che sarebbe accolto con favore da chiunque abbia a cuore la sovranità e l'integrità del nostro Regno Unito".

L'ex leader laburista Ed Miliband ha parlato di Johnson: "Questo è il suo accordo, il suo disastro, il suo fallimento: per la prima volta nella sua vita dovrà assumersene la responsabilità.

Ed è ora che si dia una calmata, sulla vicenda dell'accordo o non è stato sincero con il Paese dall'inzio, o non lo ha capito".

Il disegno di legge dovrà superare altre votazioni prima di diventare legge: con una maggioranza di 80 seggi alla Camera dei Comuni, Johnson non dovrebbe avere problemi a farla approvare, nonostante la pioggia di critiche, tanto dall'opposizione che da Bruxelles.

Perché la legge viola il diritto internazionale

Il disegno di legge conferisce ai Ministri il potere di "disapplicare" parti delle regole concordate nell'ottobre 2019 in materia di scambi commerciali con l'Irlanda del Nord.

I leader dell'Unione Europea hanno già avvisato Londra che l'insieme di queste regole, formalmente note come Protocollo dell'Irlanda del Nord, sono legalmente vincolanti e la loro violazione costituirebbe una violazione del diritto internazionale.

Brandon Lewis, ministro britannico responsabile per l'Irlanda del Nord, ha insistito sul fatto che la nuova legge britannica violerebbe il diritto internazionale, ma solamente in modo "molto specifico e limitato".

Tuttavia non esistono cosiddette violazioni "parziali" del diritto internazionale, come spiega il dottor Holger Hestermeyer, professore della Dickson Poon School of Law del King's College di Londra.

"Questo è un annuncio di violazione del diritto internazionale, ed è sorprendente - le sue parole a Euronews - per quanto ne so, è un fatto senza precedenti davanti al Parlamento".

Hestermeyer ritiene che il nuovo disegno di legge impedirà direttamente l'applicazione di parti dell'accordo di recesso dalla UE.

Consentirebbe, per esempio, ai Ministri di non applicare alcuni regolamenti sul controllo delle merci in entrata o in uscita dall'Irlanda del Nord e altre parti del Regno Unito.

La legge britannica darebbe anche ai Ministri il potere di modificare gli articoli del Protocollo sugli aiuti di Stato.

Raphael Hogarth, socio del think tank britannico Institute for Government, pensa che il disegno di legge abbia lo scopo di modificare la legislazione indipendentemente dal fatto che essa sia incompatibile con gli accordi già esistenti.

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Il Governo britannico sta "cercando di creare un potere totalmente non giustificabile", afferma Hogarth.

Catherine Barnard, professoressa di Diritto dell'Unione europea all'Università di Cambridge, scrive su Twitter che il disegno di legge contiene "chiare istruzioni ai tribunali britannici" di non considerare illegali le azioni dei Ministri".

L'Irlanda del Nord, parte del Regno Unito, è stata a lungo un nodo dei negoziati della Brexit a causa del confine che la divide dalla Repubblica d'Irlanda, Stato membro dell'Unione Europea.

Attualmente non c'è un confine 'rigido', con dogana da attraversare: è aperto come accade per esempio tra Italia e Francia, né vengono effettuati controlli doganali sulle merci o sulle persone che lo attraversano.

Tuttavia, una Brexit senza accordo potrebbe implicare il ritorno delle guardie di frontiera o perfino di una recinzione lungo i 499 chilometri di confine.

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Si teme che una separazione fisica di questo tipo possa minacciare gli accordi del Venerdì Santo, un trattato di pace entrato in vigore nel 1999.

Il Protocollo, firmato tra il Regno Unito e l'Unione europea, era stato concepito per garantire che non si sarebbe verificata alcuna separazione fisica tra le due Irlanda, senza l'imposizione di controlli alle frontiere anche in caso di mancato accordo sulla Brexit.

"Il Protocollo dell'Irlanda del Nord doveva essere una soluzione rigorosa e praticabile anche in caso di assenza di accordo di libero scambio", aggiugne Hestermeyer.

Possibilità di sanzioni

Johnson, che ha approvato il Protocollo nell'ottobre 2019, ha detto che il suo Paese ha bisogno di protezioni legali contro "interpretazioni estreme o irrazionali del Protocollo, le quali otrebbero portare a un confine lungo il Mare d'Irlanda".

Ma l'Unione Europea ha avvertito il Regno Unito che il rispetto degli accordi è una "pietra angolare secolare in diplomazia".

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Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, ha affermato che "violare il Diritto internazionale non è accettabile e non crea la fiducia di cui abbiamo bisogno per costruire le nostre relazioni future".

La notevole opposizione tra i Parlamentari in seno al Governo potrebbe portare ad una modifica della legge - anche sostanziale.

Tuttavia, se l'UE riterrà il prodotto finale passibile di violazioni del diritto internazionale e degli accordi pregressi, secondo Hestermeyer verrà innescata una vasta gamma di meccanismi sanzionatori in risposta - compresa l'introduzione di dazi commerciali.

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