Schinas: "No a mini-Schengen regionali dopo il Covid-19"

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Di Efi Koutsokosta
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Dalle raccomandazioni su turismo e viaggi al nuovo patto sulla migrazione, passando per la solidarietà economica, il vice presidente della Commissione incaricato della promozione di stile di vite europeo risponde alle nostre domande.

La crisi del coronavirus ha lasciato molti senza lavoro, isolati e preoccupati per il futuro. Quello che è chiaro è che il mondo che conoscevamo prima della pandemia non esiste più. Questa crisi ha sconvolto l’economia mondiale, ha cambiato il modo in cui facciamo affari e soprattutto ha amplificato le profonde divisioni tra nord e sud nell’Unione europea. Ma come sarà questa cosiddetta "nuova normalità"? Il nostro ospite in Global Conversation è il vice presidente della Commissione europea Margaritis Schinas, incaricato della promozione dello stile di vita europeo. 

No a "mini-Schengen" regionali che frammentino il mercato unico

Gli Stati membri stanno a poco a poco aprendo le frontiere e allentando le misure restrittive. Sappiamo che la Commissione europea ha formulato alcune precise raccomandazioni, ma spetta agli Stati membri decidere come comportarsi. Ci sono quindi molte scappatoie. Allora, al momento quanto è sicuro aprire le economie, aprire le frontiere nell’area Schengen e, naturalmente, dare il via alla stagione turistica?

"Lei ha ragione a dire che non siamo stati rigidi nelle nostre raccomandazioni sul turismo e sui viaggi. Non pensiamo sia compito della Commissione dettare da Bruxelles un approccio unico con una data che vada bene per tutti. Per quanto riguarda l’apertura delle aree turistiche, di viaggio e di accoglienza, non c’è spazio per le discriminazioni, e ogni misura adottata deve essere basata sulle nostre linee guida ed essere non discriminatoria. Le faccio un esempio sui confini. Non è possibile che il ritorno alla normalità di Schengen dalle restrizioni attuali alle nostre frontiere sia sostituito da una sorta di mini-Schengen regionali che frammentino il mercato unico discriminando gli stati membri non partecipanti. Questo non è possibile. Al contrario, è possibile, come raccomandato dalla Commissione, che le regioni e gli stati membri con una storia epidemiologica simile usino questa fase intermedia per cominciare a revocare le restrizioni sulle frontiere interne in modo ordinato e non discriminatorio e, soprattutto, sicuro, per viaggiatori e turisti".

Non è il momento giusto per disperdere denaro

Questa crisi però ha colpito il continente in modo ineguale, il che significa che ora, quando si parla del Fondo di recupero, i paesi più ricchi del nord vogliono concentrarsi sui prestiti mentre i paesi più poveri del sud, i più colpiti dalla pandemia, vogliono concentrarsi sulle sovvenzioni. Ma se alla fine i paesi ricchi insistono sui prestiti, di che solidarietà stiamo parlando?

"Siamo ora in una fase cruciale, in cui la Commissione nei prossimi dieci giorni finalizzerà quello che riteniamo sia il modo migliore di affrontare questa mancanza di equilibrio, che è l’iniziativa per la ripresa. E l’iniziativa per la ripresa avrà determinate caratteristiche pensate proprio per ovviare a queste carenze che lei ha menzionato. Innanzi tutto, le dimensioni, che dovranno essere ragguardevoli. In secondo luogo, dovrà essere mirata a quegli stati membri e quei settori dell’economia che hanno sofferto di più. Non è il momento giusto per disperdere soldi su più obiettivi. E terzo, dovrà contenere la miscela giusta di sovvenzioni e prestiti, soprattutto perché sarebbe del tutto ingiusto che i paesi del sud fossero costretti ad aumentare il loro debito".

Un nuovo patto sulla migrazione sul tavolo della presidenza tedesca

Passiamo a quella che è - o era in precedenza - un’altra grossa priorità, l’immigrazione. Ora sembra che non sia così prioritaria, ma sappiamo che state preparando un nuovo patto sulla migrazione. Quando dobbiamo aspettarcelo?

"Penso che una volta che avremo finito con tutte le iniziative legate alla pandemia, come il piano di ripresa, il prossimo grosso dossier dell’Unione sarà il Patto europeo su migrazione e asilo, con una tempistica che consenta alla presidenza tedesca di cominciare a lavorarci il prima possibile".

Quindi dobbiamo aspettarcelo in giugno, prima della presidenza tedesca?

"Sì, penso che sia un’aspettativa ragionevole, perché, come dice lei, la presidenza tedesca inizia il primo luglio, e a me piacerebbe molto che la presidenza tedesca trovasse questa proposta sul tavolo nella fase iniziale".

Che cosa includerà questa proposta? 

"Noi immaginiamo questo patto come un edificio a tre piani, con un primo piano dalla dimensione esterna molto forte, che consentirà all’Europa di costruire relazioni robuste con i paesi d’origine e di transito, che sono fondamentali nella gestione dei flussi migratori. Dobbiamo creare condizioni tali per cui questi paesi possano offrire opportunità ai loro cittadini perché restino là invece di costringerli a mettere la loro vita nelle mani dei contrabbandieri nel Mediterraneo. Il secondo piano dell’edificio sarà una gestione comune e robusta delle nostre frontiere esterne. Come abbiamo visto recentemente a Evros, esiste la possibilità per l’Europa e Frontex di mobilitarsi molto rapidamente per aiutare a proteggere le nostre frontiere esterne, in particolare in tempi di crisi. E speriamo che questa sarà una caratteristica centrale del patto. E il terzo piano, e probabilmente il più importante, sarà naturalmente la solidarietà e la condivisione degli oneri. Potremmo chiamarlo il nuovo Dublino".

**Ma come potete convincere gli stati membri che si sono già rifiutati di condividere l'onere di accogliere i rifugiati? **

"Lei ha ragione. Quando ci abbiamo provato nel 2016, l’Europa non ha avuto successo. Stavolta penso che probabilmente abbiamo maggiori possibilità perché il primo e il secondo piano dell’edificio sono più sviluppati. Si può chiedere solidarietà se si riesce a convincere che l’elemento di responsabilità è presente, che c’è forte una dimensione esterna, che è possibile controllare le frontiere. In quel caso abbiamo il diritto di chiedere solidarietà. Ho la sensazione che nel 2016 i primi due piani non fossero stati pienamente sviluppati. L’Europa non può fallire due volte su una questione così importante".

Journalist • Selene Verri

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