Ora possiamo uscire di casa, ma non vogliamo farlo. Incertezze e paure del deconfinamento

Ora possiamo uscire di casa, ma non vogliamo farlo. Incertezze e paure del deconfinamento
Diritti d'autore Victoria Jones / PA via AP
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Di Cinzia Rizzi
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La ricercatrice del CERPPS di Tolosa, Florence Sordes, ci spiega l'impatto psicologico della quarantena: "Chi ha vissuto il confinamento con intensa paura, non cambierà atteggiamento"

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La pandemia di Covid-19 e la quarantena, il miglior "terreno di gioco" per gli psicologi di tutto il mondo. E con il deconfinamento iniziato nella maggior parte dei Paesi, dopo due mesi rinchiusi tra le mura di casa, ci sono molte domande che sorgono. Una su tutte: come vivremo questa fase, inedita della nostra vita, che abbiamo aspettato per così tanto tempo? Se per molti è una liberazione, non lo è però per tutti. 

La "sindrome della capanna"

La cosiddetta Fase 2 provoca in tante persone nervosismo, insicurezza, paura e ansia. Sono molti coloro che, anche se ora sono liberi di uscire di casa, tornare in ufficio, ritrovare una vita sociale quasi normale o fare shopping, scelgono di non farlo. Perché è nato in loro un sentimento di paura e hanno sviluppato quella che viene definita come la "sindrome della capanna" o del prigioniero. Una sindrome che colpisce chi ha trascorso molto tempo isolato dalla società, un periodo di clausura, insomma, dovuto ad esempio a una malattia o a una condizione patologica o, come accade oggi, alle misure restrittive imposta a causa della pandemia. Secondo la Società Italiana di Psichiatria (Sip), oltre un milione di italiani rischia di svilupparla durante la fase post quarantena.

Durante queste settimane di lockdown molte persone, le cui condizioni di vita erano confortevoli, hanno potuto godersi il tempo che avevano a disposizione, vivendo in una sorta di "bolla" e sentendosi protette dall'esterno e dal coronavirus. Oggi, queste persone non vogliono tornare in ufficio, non sanno come comportarsi durante le riunioni, come relazionarsi con gli altri (mantenendo il distanziamento sociale), non sanno se indossare o meno la mascherina, ecc. Perché il mondo che le aspetta oltre la porta di casa è un mondo che non conoscono e quindi si sentono più al sicuro tra le quattro mura domestiche. Altri, invece, hanno vissuto la quarantena in un piccolo appartamento, condividendolo magari con altre persone o in una situazione instabile e talvolta pericolosa e per questo vivono il deconfinamento come un momento di felicità.

Lo studio del CERPPS sull'impatto psicologico della quarantena

E' impossibile quindi generalizzare, perché ognuno è unico, ha un vissuto alle spalle e reagisce in modo differente agli eventi o alle difficoltà della vita. E' quanto spiega a Euronews la dottoressa Florence Sordes, a capo di una squadra di ricercatori del Centro Studi e Ricerche in Psicopatologia e Psicologia della Salute (CERPPS) dell'Università di Tolosa, in Francia. Insieme a Aurélie Croiset, Cassandra Guillemot ed Enzo Cipriani sta realizzando uno studio a livello nazionale, per identificare l'impatto del confinamento sul comportamento delle persone

L'indagine è iniziata ad aprile e si concluderà tra 3/4 mesi. Attraverso un protocollo online di 262 domande - sugli stati emotivi abituali, ma anche e soprattutto su quelli attuali, legati alla pandemia - vengono analizzati gli elementi socio-biografici, il luogo di quarantena e i suoi abitanti, l'eventuale esposizione al Covid-19, la professione, i comportamenti che creano dipendenza. Tutto questo per dimostrare che il confinamento è un evento, che può essere emotivamente difficile e può avere conseguenze psicologiche. Magari non da subito, ma dopo qualche giorno o settimana. "Il lockdown è una storia unica, che pochissime persone hanno visto e vissuto", spiega Sordes. "E' potenzialmente un vettore di problemi, già a partire da 10 giorni".

Credo che il deconfinamento sia proprio questo: l'incertezza fa sì che le persone non sappiano veramente come collocarsi
Florence Sordes
Ricercatrice CERPPS di Tolosa

Studi già effettuati per altre patologie, come l'Ebola e la SARS, hanno dimostrato infatti che dopo 10 giorni di isolamento, alcune persone hanno cominciato a sviluppare disturbi emotivi, che si protraggono nel tempo. "Ho intervistato molte persone e alcune mi hanno detto che per i primi 15 giorni di quarantena tutto è andato bene, poi a un certo punto tutto è crollato", dichiara la ricercatrice. "Sappiamo che sta succedendo qualcosa, ma per alcune persone più vulnerabili, queste emozioni rimarranno durante la Fase 2 e anche dopo. Qui entra in gioco quello che in psicologia chiamiamo stress post traumatico". La dottoressa ci spiega che tutto ciò dipende da diversi fattori: dove è stato vissuto il periodo di quarantena e con chi; se nella regione dove ci si trovava c'era ad esempio un gran numero di contagi oppure no. E poi ci sono i cosiddetti "fattori di protezione della vulnerabilità": quali risorse psicologiche si avevano a disposizione per affrontare questa situazione? 

Due fasi strettamente collegate

Entrati nella Fase 2, secondo Sordes, tutto dipenderà da come è stata vissuta la quarantena. "Abbiamo intervistato molte persone che hanno vissuto il confinamento con un'intensa paura - che non sono uscite di casa, nemmeno per la passeggiata di un'ora consentita in Francia - e ci hanno detto che non cambieranno atteggiamento durante il deconfinamento". In parole povere, chi ha vissuto bene la quarantena - trovandosi delle occupazioni quotidiane, rispolverando passioni e hobby, ritrovando virtualmente vecchi amici o famigliari con i quali non si parlava da tempo - vivrà altrettanto bene il post. 

Per chi, invece, avrà vissuto male la Fase 1, la Fase 2 sarà molto complicata. "Una signora, per esempio, mi ha detto: 'Voglio raccontarle la storia della mia quarantena con il mio futuro ex marito'", spiega la ricercatrice. "Ci sono tutta una serie di situazioni che vanno prese in considerazione: questo è l'esempio di coloro che stanno attraversando un divorzio, ma che sono stati costretti a condividere la casa durante il confinamento, perché non avevano altre possibilità. E per questo l'hanno vissuto con l'ansia, non solo del presente, ma anche di un futuro incerto". 

Le persone che hanno vissuto il confinamento con un'intensa paura non cambieranno atteggiamento durante il deconfinamento
Florence Sordes
Ricercatrice CERPPS di Tolosa

Più domande che risposte

Ed è proprio per questo futuro incerto, che ai partecipanti allo studio del CERPPS sorgono più domande di quante risposte si riescano ad ottenere. "Cosa significa deconfinamento? Quali sono le differenze tra oggi e domani? Perché è stata scelta questa data precisa per entrare nella Fase 2?", ci confida Sordes. E, psicologicamente parlando, "più incertezze ha una persona, più sono le domande che si pone e meno riesce a gestirle". 

Ed è qui che alcuni soffrono maggiormente. La mancanza di indicazioni precise (da parte delle autorità ad esempio), la mancanza di certezze sul fatto che domani andrà tutto bene, il non sapere come gestire certe situazioni (mandare i figli a scuola? prendere i mezzi pubblici? tornare in ufficio?) creano ansia e stress

E un fattore che ha un peso importante in tutto ciò sono le disuguaglianze sociali, che esistevano prima del confinamento e che, durante la Fase 1, sono state amplificate. Basti pensare a chi, economicamente, poteva permettersi una baby sitter prima e che oggi può quindi tornare in ufficio, sapendo a chi lasciare i propri figli. O chi, per evitare di prendere i mezzi pubblici, si è potuto permettere di comprare una bicicletta. Queste stesse persone- che avevano le risorse finanziarie e psicologiche per affrontare al meglio il confinamento - non dovrebbero incontrare grossi problemi durante la Fase 2. 

Più incertezze ha una persona, più sono le domande che si pone e meno riesce a gestirle
Florence Sordes
Ricercatrice CERPPS di Tolosa

E non bisogna poi dimenticare tutto quello che c'era prima della pandemia. "Le persone hanno iniziato la quarantena con una storia alle spalle, un vissuto, qualunque esso fosse, con le proprie risorse e i propri limiti, le proprie debolezza e vulnerabilità", spiega a Euronews la dottoressa. "Sono passate attraverso il confinamento e ora il deconfinamento". Questa storia e queste condizioni di vita precedenti, in molti casi, hanno avuto l'effetto di una bomba. Un esempio sono le situazioni di abuso, aggravatesi durante la quarantena, quando non c'era più la possibilità di andare in ufficio o a scuola, distrarsi con gli amici, uscire di casa, insomma.

AP Photo/Rajesh Kumar Singh
Una famiglia indiana guarda fuori dalla finestra della propria abitazione, durante il lockdown a Prayagraj, IndiaAP Photo/Rajesh Kumar Singh

 Cosa bisogna fare per vivere il deconfinamento al meglio?

"Innanzitutto bisogna essere ragionevoli, non essere cioè troppo allarmisti", dichiara la dottoressa. "Alcuni media fanno già abbastanza e anche i governi, per creare allarmismi. In psicologia positiva, ad esempio, ci sono alcune cose ben fatte e che troppo spesso vengono dimenticate. Ciò che ci permetterà di attraversare questa Fase 2 indenni è trovare il lato positivo delle cose, anche quelle piccole, che in questo contesto di incertezze ci permetta di immaginare un futuro positivo". 

Quello che in molti temono, però, è una seconda ondata. Dopo due mesi in quarantena, avere qualche giorno o settimana di libertà, per poi tornare nuovamente in lockdown. Ma, se questo dovesse succedere, saremo già pronti psicologicamente ad affrontarlo? "E' difficile rispondere a questa domanda", dice a Euronews Sordes. "Ci sono delle patologie che si comportano in questo modo: prima siamo malati, poi la malattia è in remissione e quindi va tutto bene per un po'; ma in seguito la malattia ritorna. Faccio il paragone con questa situazione, perché probabilmente la prima esperienza di confinamento è stata inedita, sconosciuta a tutti. E se mai dovessimo ritornare in confinamento, potremo fare affidamento sull'esperienza appena vissuta, avremo già delle risorse, dei punti di riferimento. Nel bene e nel male. Perché chi ha vissuto bene il primo confinamento, lo farà anche nel secondo, ma chi ha avuto una brutta esperienza, dubito che vorrà riviverla". 

Ciò che ci permetterà di attraversare questa Fase 2 indenni è trovare il lato positivo delle cose, anche quelle piccole, che in questo contesto di incertezze ci permetta di immaginare un futuro positivo
Florence Sordes
Ricercatrice CERPPS di Tolosa
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