Ambiente: la battaglia contro le trivellazioni a 10 anni dal disastro Deepwater

La piattaforma Deepwater Horizon devastata dal fuoco, 21 aprile 2010
La piattaforma Deepwater Horizon devastata dal fuoco, 21 aprile 2010 Diritti d'autore AP
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Di Vincent Coste
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#DrillingIsKilling: al via la campagna per dire no alle trivellazioni nelle acque dell'Unione europea

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750 milioni di tonnellate di petrolio, riversate nelle acque dell'Oceano Atlantico, sono valse una maxi risarcimento da circa 20 miliardi di dollari, ma non il veto o la limitazione alle trivellazioni offshore.
Il disastro ambientale è avvenuto 10 anni fa, ma l'ecosistema marino e terrestre non si è ancora ripreso: il 20 aprile 2010 la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon è esplosa in mare, provocando la morte di 11 persone. Un inferno di fuoco si è scatenato nel Golfo del Messico. Due giorni dopo, il 22 aprile, l'impianto gestito dalla società britannica BP al largo delle coste di Louisiana, Mississippi e Alabama è affondato, causando la più grande fuoriuscita di petrolio della storia.
Una catastrofe che non ha messo un freno al business dei combustibili fossili.

Nel tweet: "Oggi è il decimo anniversario di #DeepwaterHorizon, il più grande sversamento in mare di petrolio nella storia! Dobbiamo porre fine alle trivellazioni offshore nelle acque dell'Ue. Leggete e condividete il Manifesto #DrillingIsKillingIsKilling".

"#DrillingisKilling", la trivellazione petrolifera uccide

In occasione dell'anniversario della catastrofe, la Fondazione Surfrider, organizzazione ambientale non-profit statunitense che opera per la protezione e la salvaguardia degli oceani, lancia una campagna chiamata #DrillingIsKilling. L'iniziativa sollecita un cambio di rotta urgente. Surfrider chiede infatti lo stop alle trivellazioni di petrolio e gas nelle acque europee entro il 2035.

Contattata da Euronews, la Ong spiega che l'obiettivo finale della campagna è "un primo passo per porre fine alla dipendenza dell'Europa dai combustibili fossili". Senza un impegno immediato, l'Unione europea non potrà avviare la transizione verso un sistema energetico a zero emissioni di carbonio e gli accordi assunti alla COP21 di Parigi non saranno rispettati.

"La nostra mobilitazione precede la revisione della direttiva europea 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni offshore nel settore del petrolio e del gas che ci aspettiamo quest'anno", aggiunge un portavoce di Surfrider Foundation Europe.

AP
Deepwater HorizonAP

Un rischio per la biodiversità e "le bufale economiche".

Il disastro della Deepwater non è un caso isolato. Con la sua campagna, Surfrider mira a sensibilizzare l'opinione pubblica sui rischi connessi all'esplorazione e allo sfruttamento petrolifero offshore. Secondo i dati forniti dall'organizzazione, "negli ultimi 30 anni si è verificata una decina di incidenti gravi in tutto il mondo, la metà dei quali ha provocato una fuoriuscita di petrolio".

Se non si agisce con tempestività, il rischio è quello di compromettere il patrimonio di biodiversità e - con esso - la vita e la salute di tutti. "Lo sfruttamento porta spesso a scarichi involontari di petrolio, così come l'inquinamento delle acque attraverso fanghi fluidi contenenti arsenico, mercurio, materiali radioattivi", sostiene Surfrider.

Se lo sfruttamento attraverso le piattaforme è definita un'aggressione conclamata, non sono scagionate neppure le fasi di esplorazione, anch'esse estremamente pericolose per la vita marina. Spiega Surfrider che le attività di ricerca producono "rilievi sismici che rendono sordi i mammiferi marini, li fanno incagliare e riducono il tasso di cattura dei pesci del 40-80%".

Per la Ong statunitense anche l'argomentazione economica non regge, almeno quella che fotografa l'indotto in termini occupazionali: "Oggi, in Europa, il settore del turismo e della pesca impiega 40 volte più persone rispetto alle attività offshore nel settore del petrolio e del gas (2 570 000 rispetto alle 63 000 del 2017)". Anche il valore economico dei settori pesca e turismo - i più minacciati dallo sfruttamento offshore - è "cinque volte superiore, 85 miliardi rispetto ai 17 miliardi del 2017". Infine, "considerati i prezzi estremamente bassi del petrolio al momento, le trivellazioni offshore stanno diventando una sciocchezza economica".

Niente più nuovi permessi, niente più operazioni nelle aree artiche

In parallelo a questa campagna, Surfrider Foundation Europe ha promosso un manifesto contro la perforazione offshore. Il documento è già stato firmato da oltre 20 organizzazioni europee, tra cui Oceana e Climate Action Network.

Attraverso questa azione, l'Ong chiede la sospensione del rilascio e del rinnovo dei permessi già licenziati per l'esplorazione e lo sfruttamento del petrolio e del gas. L'obiettivo fissato è la cessazione totale delle operazioni offshore nel settore del petrolio e del gas entro il 2035.

Surfrider si sta anche battendo per il divieto di perforazione nelle zone artiche dell'Unione europea e dello Spazio economico europeo. Secondo gli ambientalisti, si tratta di zone nelle quali la probabilità di un incidente è più alta e le conseguenze potenziali più drammatiche, in relazione al fatto che gli ecosistemi di questi territori sono fragili e con specie estremamente importanti.

Perforare il cuore delle profondità marine

Oggi le trivellazioni si svolgono in luoghi sempre meno accessibili e sempre più profondi. Alcuni impianti permettono di posizionarsi in acque dove la profondità è di quasi 3.000 metri. Una volta in posizione, le piattaforme hanno una capacità di perforazione di circa 12.000 metri di profondità. La Deepwater Horizon apparteneva a questa famiglia e poteva trivellare fino a più di 10.000 metri.

Ogni anno, secondo la US Energy Information Agency (EIA), circa il 17% del petrolio greggio e il 5% del gas naturale degli Stati Uniti viene estratto dalla zona marittima delle acque profonde.

Deepwater Horizon, un disastro ambientale con pesanti conseguenze

Dopo l'esplosione della Deepwater Horizon e lo sversamento in mare di 750 milioni di tonnellate di petrolio, che ha contaminato diverse centinaia di chilometri della costa meridionale degli Stati Uniti, i danni all'ambiente sono stati incalcolabili, con particolare riferimento agli innumerevoli animali endemici di questa regione (delfini, balene, lamantini, aironi, pellicani) uccisi dal petrolio. Il greggio ha infatti un peso specifico minore dell'acqua, inizialmente forma una pellicola impermeabile all'ossigeno sulla superficie marina, causando oltre agli evidenti danni per fenomeni fisici e tossici diretti alla macrofauna, un'anaerobiosi che uccide il plancton.

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Sotto l'amministrazione Obama, il governo statunitense aveva inasprito le regole in vigore per le trivellazioni offshore nel 2011; l'attuale amministrazione ha invece allentato queste misure. Donald Trump aveva persino annunciato l'intenzione di aprire quasi tutte le acque costiere statunitensi allo sfruttamento del petrolio e del gas. La questione è ancora oggetto di contestazione in tribunale in diversi Stati.

Risorse addizionali per questo articolo • Stefania De Michele

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