L'Agenzia Onu, con l'aggravarsi del conflitto, teme per la sicurezza dei profughi, ma anche dello staff e dei partner
Ci sono motivi di sicurezza, dietro la decisione dell'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR), di sospendere le operazioni nel Centro di raccolta e partenza di Tripoli (Gdf). L'agenzia dell'Onu, che ha già iniziato a trasferire in luoghi più sicuri decine di profughi, teme per la loro sicurezza, oltre che per quella del suo staff e dei partner, visto l'aggravarsi del conflitto libico. “Purtroppo l’UNHCR non ha avuto altra scelta se non quella di sospendere le operazioni presso la Gdf di Tripoli, dopo aver appreso che le esercitazioni di addestramento, che coinvolgono personale di polizia e militare, si svolgono a pochi metri dalle strutture che ospitano i richiedenti asilo e i rifugiati”, ha dichiarato Jean-Paul Cavalieri, capo-missione UNHCR nel Paese.
Una tregua fragile, che regge solo di nome
La tregua, confermata durante la Conferenza di Berlino, regge solo di nome, come ha spiegato l'inviato speciale dell'Onu in Libia, Ghassan Salamè, denunciando le continue violazioni degli impegni assunti in Germania. Sarebbero 110 le violazioni del cessate il fuoco, rilevate dalla Missione di supporto delle Nazioni unite (Unsmil), da quando la tregua è stata annunciata questo mese.
Salamé ha poi spiegato in videoconferenza con il Palazzo di vetro, che le parti hanno continuato a ricevere una notevole quantità di attrezzature moderne dai loro sostenitori stranieri, "in violazione dell'embargo sulle armi e degli impegni assunti dai rappresentanti di questi Paesi a Berlino". In particolare, secondo l'inviato Onu, sarebbero state rafforzate le linee del fronte a Tripoli delle forze del Generale Khalifa Haftar, con "armi, equipaggiamenti, fanteria, inclusi i combattenti stranieri". E' di questo giovedì la notizia dell'abbattimento di un drone russo, in uso all'esercito dell'uomo forte della Cirenaica.
Di Maio: "Al via i negoziati con Al Sarraj"
Ha parlato di una tregua "fragile" anche il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, per il quale i centri di detenzione libici vanno sì chiusi, ma bisogna anche investire sui rimpatri volontari e su centri di accoglienza sotto l'egida delle Nazioni Unite. Il titolare della Farnesina ha assicurato che nei prossimi giorni l'Italia avvierà il negoziato con il premier libico Fayez Al Sarraj, per migliorare il Memorandum firmato nel 2017.