In Slovacchia, per esempio, i residenti di Michalovce, nell'est del Paese, hanno raccolto i fondi e ottenuto le necessarie autorizzazioni per costruire un muro che li tenga separati dal vicino campo rom che ospita 1800 persone.
Trent'anni dopo la caduta del più famoso muro europeo, quello di Berlino, ci sono ancora barriere fisiche che dividono persone nel nostro continente. Non parliamo solo di quelle più tristemente famose: Nicosia, Cipro, e l'exclave spagnola di Melilla.
Esistono sbarramenti più piccoli e forse meno conosciuti che a volte dividono piccoli villaggi o impediscono ad un gruppo etnico non desiderato di entrare in contatto con il resto della popolazione.
Una mostra in Francia dal titolo Walls of Power esplora il tema delle recinzioni europee attraverso l'occhio di fotografi contemporanei provenienti da 15 Paesi diversi. L'esibizione ha aperto i battenti a Arles nell'ambito del festival di fotografia Rencontres che festeggia quest'anno il suo 50esimo anniversario.
Abbiamo parlato con il curatore, István Virágvőlgyi. A suo parere, i muri europei sono innalzati a causa di volontà di potere e di controllo. Tre le sezioni della mostra che riflettono le motivazioni dietro la loro costruzione: sono chiamate muri d'influenza, muri di segregazione e muri di migrazione.
I muri d'influenza sono barriere tra i poteri sovrani; i muri di segregazione sono barriere all'interno di una stessa società e i muri di migrazione sono piuttosto strumenti al servizio delle procedure di ammissione.
A volte sono lunghi solo un paio di metri e la loro esistenza può sembrare assurda, inspiegabile. Ne potete vedere qualcuno nel video qui sopra.
In Slovacchia, per esempio, i residenti di Michalovce, nell'est del Paese, hanno raccolto i fondi e ottenuto le necessarie autorizzazioni per costruire un muro che li tenga separati dal vicino campo rom che ospita 1800 persone. Una barriera sconclusionata perché non impedisce l'accesso, "non risolve problemi", ma dirotta il passaggio di esseri umani solamente un poco più in là. Esiste poi l'inferriata che separa i bielorussi dalla Lituania (zona Schengen). Qui amici e parenti sono costretti a parlarsi da un lato all'altro della grata di metallo: il varco doganale più vicino dista 150km.
"Dobbiamo continuare a interrogarci su questa questione: abbiamo la falsa sensazione di aver già risolto il problema e di essercelo lasciati alla spalle", conlclude Virágvőlgyi.