Ora la Macedonia del Nord ha un nome. Ma ha un’identità nazionale?
Siamo stati nel Paese all'indomani degli Accordi di Prespa: un quadro demografico estremamente frammentato e un dibattito mai sopito sull'identità nazionale, Intento dichiarato dall’attuale esecutivo è altresì il riavvicinamento delle comunità etniche e religiose interne. Il reportage fotografico.
La scorsa settimana il parlamento greco ha ratificato i cosiddetti “Accordi di Prespa”, mettendo fine alla disputa diplomatica tra la Grecia e il suo vicino settentrionale, cui per ventisette anni aveva imposto il nome di FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia). Atene si è impegnata a non opporre più il veto alla candidatura di Skopje a Nato e Unione Europea, come fatto ripetutamente da quanto la repubblica post-jugoslava ottenne l’indipendenza nel 1991.
Le affollate proteste di piazza contro l’accordo esplose negli ultimi due anni in Macedonia del Nord hanno ricordato alla comunità internazionale che l’identità nazionale della piccola repubblica balcanica continua a non avere una definizione accettata da tutti.
Secondo l’ultimo censimento, oltre alla maggioranza slavo-macedone (64.2%), formano una minoranza significativa gli albanesi (25.2%), assieme a rom (ufficialmente 2.7%, probabilmente tra 6.5% e 13%), turchi (3.9%) e serbi (1.8%). Gruppi etnici minori come arumeni, bosniaci e bulgari completano il quadro demografico frammentato di questo paese senza sbocchi sul mare.
Nella periferia settentrionale di Skopje si trova Šuto Orizari, un vero e proprio paese dove la comunità rom rappresenta la stragrande maggioranza dei residenti (secondo il censimento del 2002, circa l’80%). Ne avevamo scritto qui.
Nonostante il primo ministro Zaev abbia sottolineato più volte l’importanza di una maggiore coscienza pubblica riguardo alle condizioni della comunità nel paese, a Šuto Orizari persistono i tipici problemi delle periferie degradate: ghettizzazione, disoccupazione e scarsi livelli d’inclusione sociale.
Con oltre 1,3 milioni di fedeli, gli ortodossi rappresentano la fede principale nel paese. Molto forte è però anche la comunità islamica, che si attesta intorno al 36% e unisce soprattutto le comunità albanese, turca e rom.
Fin dalla sua indipendenza la Macedonia del Nord ha faticato a promuovere un’identità nazionale definita e riconosciuta: il tentativo più controverso si ebbe durante i due mandati dell’esecutivo guidato da Nikola Gruevski. Nel 2010 il leader conservatore lanciò il progetto “Skopje 2014” – anche noto come “antikvizacija” (“antichizzazione”), in riferimento alla politica identitaria fondata sull’idea che esista una connessione diretta tra i macedoni attuali e gli antichi macedoni. Dozzine di statue di eroi e filosofi greci spuntarono nel centro della capitale, inclusa un’imponente statua di Alessandro Magno a cavallo eretta nella piazza principale.
Con questa manovra il governo supportava l’ipotesi che il famoso condottiero, espugnatore dell’impero persiano nel IV secolo a.C., fosse un antenato degli odierni macedoni, sebbene questi abbiano origini slave strettamente imparentate con la lingua e la cultura bulgara. Questa politica identitaria esacerbò il conflitto con Atene, facendo sì che una soluzione alla “questione del nome” fosse inconcepibile durante i due mandati di Gruevski.
L’attuale coalizione governativa guidata da Zoran Zaev ha invertito la politica estera isolazionista perseguita dal predecessore. Resuscitare le ambizioni occidentali di Skopje è stato il cardine degli sforzi diplomatici di Zaev fin dalla sua nomina nel 2017. Primo step per un riavvicinamento con i paesi confinanti è stata la firma di un Trattato di Amicizia con la Bulgaria nell’agosto 2017, che ha rilanciato la cooperazione economica tra i due paesi.
Con il suo approccio, il Primo ministro è anche riuscito ad attrarre le simpatie delle élite UE, migliorando così l’immagine del paese sulla scena internazionale.
Intento dichiarato dall’attuale esecutivo è altresì il riavvicinamento delle comunità etniche e religiose interne, come dimostra la recente adozione dell’albanese come seconda lingua ufficiale.
La nuova denominazione continua però a dividere i cittadini macedoni, come ha dimostrato il fallimento – per quorum non raggiunto – del referendum consultivo sull’intesa con la Grecia.
Dopo aver portato a casa lo storico accordo, Zaev e i suoi alleati hanno ora promesso di instaurare un sistema basato sullo stato di diritto e sull’economia di mercato, sebbene alcuni critici sostengano che il governo non abbia né la volontà né i mezzi per portare avanti una serie di riforme così ambiziose.