Combattimenti tra fazioni rivali: cosa sta succedendo a Tripoli?

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Diritti d'autore REUTERS
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Di Alice Tidey
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Cerchiamo di fare chiarezza sugli scontri nella capitale e dintorni. Chi ha preso le armi contro chi?

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Le differenze tribali, regionali e linguistiche in Libia stanno rendendo difficile la transizione democratica dopo la deposizione del dittatore Mu'ammar Gheddafi.

Con regolarità, infatti, scoppiano ostilità che coinvolgono le forze leali al Governo di Accordo Nazionale (GNA) appoggiato dalle Nazioni Unite, e la Camera dei rappresentanti, guidata dal generale ribelle Khalifa Haftar e basata a Tobruk, nell’est del paese.

Ma gli ultimi scontri per ottenere il controllo della capitale Tripoli, strategicamente molto importante, sono stati particolarmente violenti e hanno portato le istituzioni internazionali ad esprimere una condanna.

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Cosa sta succendendo in Libia in questo momento

La missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia ha richiesto urgentemente una riunione a Tripoli che metta al tavolo le diverse parti coinvolte. In agenda: la sicurezza della capitale.

La richiesta arriva dopo una settimana di intensi combattimenti, due accordi per una tregua (violati praticamente subito) e l’attuazione, domenica, dello stato di emergenza.

Circa 400 detenuti sono fuggiti lunedì dalla prigione Ain Zara mentre le milizie rivali combattevano nei pressi della struttura. Anche l’aeroporto è stato colpito da bombardamenti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità riporta che altre strutture sanitarie sul territorio sono state attaccate.

Secondo il ministero della Salute del paese, almeno 47 persone sono morte e altre 130 sono state ferite.

Chi ha preso le armi contro chi

Gli scontri oppongono la “Settima Brigata”, una milizia di Tarhuna (città a circa 90 chilometri a sud-est di Tripoli), ai gruppi armati di Tripoli legati al Ministero dell’interno.

Le ragioni non sono ancora chiare sebbene le due parti si accusino a vicenda di corruzione e dicano che il loro obiettivo è quello di riportare l’ordine.

Cosa fa la comunità internazionale?

Il Regno Unito, la Francia, l’Italia e gli Stati Uniti hanno emesso una dichiarazione congiunta il primo settembre per “condannare duramente la continua escalation di violenza a Tripoli e intorno alla città”.

Nel documento si legge: “Insistiamo affinchè i gruppi armati cessino immediatamente ogni azione militare e avvertiamo coloro che compromettono la sicurezza a Tripoli o altrove in Libia che saranno ritenuti responsabili per le loro azioni”.

L’alta rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha invitato le parti alla calma riaffermando l’ambizione della UE di lavorare con i diversi attori per rinforzare le istituzioni sovrane libiche - anche in vista delle elezioni previste per la fine di quest’anno - e di creare una forza professionale di sicurezza.

Mogherini ha inoltre affermato in una dichiarazione del 3 settembre che "l’Unione Europea lancia un appello a tutte le legittime parti in causa libiche affinchè si riuniscano e supportino questi obiettivi, dando priorità agli interessi della popolazione libica”.

Mario Robeiro, il coordinatore umanitario in Libia delle Nazioni Unite, ha invitato tutte le parti a riprendere i colloqui di pace e a “frenare l’uso indiscriminato delle armi nelle zone abitate”.

“Le famigle di Tripoli vivono nella paura a causa dei bombardamenti a tappeto nei loro quartieri, che arrivano da lontano e dei quali non si conoscono gli autori e la provenienza esatti”.

Quali sono le ripercussioni sulla questione migratoria?

L’Italia, supportata dall’UE, ha un accordo in atto con la Libia per formare le guardie costiere del paese nordafricano ad intercettare le barche di migranti dirette in Europa. Una volta intercettati, i migranti a bordo sono riportati in Libia e trattenuti in centri di detenzione.

Secondo Ibrahim Younis, capo della missione di Medici Senza Frontiere in Libia, "queste persone sono già molto vulnerabili, e adesso si ritrovano intrappolate in questo altro conflitto senza possibilità di scappare”.

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“Non dovrebbero essere trattenute solo perchè in cerca di una vita migliore, e più sicura. Dovrebbero essere rilasciate immediatamente e trasferite in un paese dove possano essere al sicuro”.

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