Hotspot in Africa: sono una soluzione?

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Diego Malcangi ha sentito Amina Maneggia, ricercatrice dell'Università di Perugia

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Il tema dei migranti è diventato centrale nel dibattito pubblico europeo. Occorre una strategia comune che affronti il problema alla radice. Una sfida anche per il futuro dell’Unione europea. Cosa fare e quali politiche adottare?

Diego Malcangi ne ha parlato con ad Amina Maneggia, ricercatrice dell’Università di Perugia. Ecco tre punti fondamentali da tenere a mente quando si parla di diritto umanitario europeo e diritto del mare emersi dalla conversazione. 

  • L'operazione Mare Nostrum è stata seguita da un dispositivo europeo di sola difesa dei confini, limitato a trenta miglia dalle coste italiane. In questo senso l'UE ha da allora lasciato sola l'Italia nelle operazioni di soccorso in acque internazionali, e si è instaurata una opera "di supplenza" delle ONG, con tutte le derive del caso;

  • il dibattito in corso sulla riforma del Trattato di Dublino: l'Italia che ha le sue buone ragioni per respingere le modifiche fin qui proposte;

  • le difficoltà anche nella realizzazione di hotspot in Africa: mancano accordi bilaterali di riammissione con i Paesi interessati dalle partenze.

"La tendenza dell’UE è comprensibile solo nella misura in cui ci sono degli Stati che non si rendono minimamente conto di quale sia la situazione da gestire e tendono a disinteressarsi perché non sono direttamente implicati. La risposta a livello europeo è sempre stata quella, semmai, di chiedere all’Italia, fornendo eventuale aiuto in questo senso, di rafforzare i controlli alle frontiere e impedire l’accesso dei migranti. Ed è questa la direzione che si sta prendendo adesso. L’Italia non ha mai trovato supporto dalla UE nelle operazioni di soccorso, e nelle operazioni di ripartizione e di accoglienza, e della valutazione delle domande di asilo. Ha trovato supporto nei tentativi di bloccare l’arrivo dei migranti.”

Proposta di "hotspot" extra UE

L'unica proposta sulla quale sembra esserci una forma di condivisione resta quella per la creazione di hotspots in Africa. Piano che non è di semplice attuazione e che lascia aperto il dibattito sulla gestione successiva dei rifugiati.
Certamente. Qui la proposta che potrebbe funzionare è quella di valutare la situazione e la natura delle persone intenzionate a migrare. Si devono selezionare le persone che hanno bisogno di protezione internazionale. Di queste persone bisognerà poi capire come e dove garantire l’accoglienza, in quali Paesi. Il problema rimane da questo punto di vista. Bisogna impedire la partenza dei “migranti economici”, ovvero quelle persone che non hanno bisogno di protezione internazionale e che verrebbero trattenuto nei paesi di transito, ed eventualmente rimpatriate nei paesi di provenienza ritenuti sicuri.

Investimenti e cooperazione

**Un calcolo un po' grezzo, tra le spese per l'accoglienza, quelle per la gestione dei ricorsi, le espulsioni: 10 miliardi spesi annualmente, tra tutti questi costi, più quelli degli altri paesi europei, non sarebbe meglio investirli nei paesi di provenienza? Non si risolverebbe meglio il problema in questo modo?
**Sì, si risolverebbe meglio il problema. Fino ad ora, tuttavia, la politica di cooperazione, avviata anche in questa logica, per favorire lo sviluppo, gli investimenti, la crescita e la stabilizzazione di questi Paesi, ha portato tutte le risorse ad essere destinate al rafforzamento delle capacità delle guardie di frontiera per controllare i confini.

Qui sotto è possible trovare l'intervista integrale.

Nota: La diretta Facebook è un formato che stiamo sperimentando da qualche mese per affrontare e comprendere tematiche complesse grazie l'aiuto di esperti, al di là di ogni speculazione politica e di prese di posizione di parte. Nel rispetto della nostra linea editoriale All Views, All Welcome.

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