Abbiamo ascoltato le storie di attivisti LGBT provenienti dalla Turchia
Anche quest'anno, centinaia di persone si sono radunate nel centro di Bruxelles per questa 23esima edizione del Gay pride. Tra loro, anche molti esponenti della comunità LGBT turca, in esilio, forzato o volontario, da un governo sempre pi``u conservatore e autoritario.
"In Turchia - ci ha spiegato un insegnante 50enne che ha ottenuto asilo politico e che ha chiesto di rimanere anonimo per paura di ritorsioni - ero sotto pressione familiare, politica e sociale. Mi è capitato di essere aggredito per strada, mala polizia non ha fatto nulla per aiutarmi".
Meriç invece è una studentessa 23enne: in Turchia frequentava l'università di Galatasaray, e a Bruxelles è arrivata con il programma Erasmus. Dice che a Istanbul la pressione contro la comunità LGBTI è cresciuta sempre più dal 2013, dopo i fatti di Gezi, arrivando al parossismo con la stretta autoritaria in seguito al fallito golpe e alla proclamazione dello stato d'emergenza.
"Ora - spiega - per la polizia è ancora più facile interrompere una manifestazione o una qualsiasi iniziativa politica, anche quando non ce ne sarebbe ragione".
Eppure, non sempre le cose sono andate così: con tutte le sue contraddizioni, la Turchia è stata per decenni depositaria di una cultura istituzionale laica e a suo modo progressista. "È stata, ad esempio, tra i primi paesi musulmani a consentire lo svolgimento di un gay pride" ricorda Jenny Van Der Linden, coordinatrice per la Turchia di Amnesty international a Bruxelles. "Ma ora la manifestazione è bandita, e il presidente Erdogan si è spinto al punto di dichiarare ai media che l'omosessualità è incompatibile con i valori del Corano".