I soldi dei ricchi nei paradisi fiscali: Paradise Papers, cosa sono e perché sono importanti

I soldi dei ricchi nei paradisi fiscali: Paradise Papers, cosa sono e perché sono importanti
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Di Euronews
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Una "soffiata" di 13.4 milioni di documenti svela i segreti offshore di politici, sportivi, sovrani e cantanti dal 1950 ad oggi

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Il Consorzio di Giornalisti Investigativi ICIJ ha diffuso i risultati di un’indagine globale sui segreti finanziari dei potenti del mondo e sui loro investimenti nei paradisi fiscali attraverso un ristretto numero di studi legali.

“Paradise Papers” è il nome in codice della nuova inchiesta firmata dallo stesso network di indagine dei Panama Papers, a cui aveva collaborato anche la giornalista maltese uccisa il 16 ottobre scorso, Daphne Caruana Galizia. Tanti i nomi eccellenti coinvolti, dalla Regina Elisabetta II al braccio destro del pm canadese, Justin Trudeau, fino al segretario al commercio dell’amministrazione Trump (legato commercialmente al genero di Putin) – passando per star del mondo dello spettacolo come Madonna o Bono degli U2.

I documenti mostrano quanto il sistema occulto di società offshore sia profondamente connesso con lo strato superficiale fatto di politici, milionari e corporation come Apple, Nike e Uber. Lo scopo è noto: cercare di pagare il minor numero di imposte. La domanda fondamentale posta dai documenti di “Paradise Papers”, scrive The Guardian, è la seguente: l’evasione fiscale, in tutte le sue forme, si è spinta un po’ troppo oltre? Nonostante, come abbia detto Obama, la maggior parte di queste pratiche sia legale, il quesito etico è: tutto ciò è giusto?

Chi ha svolto le indagini, come e dove si possono trovare
L’inchiesta ha coinvolto più di 380 giornalisti in 67 paesi, per un totale di 96 entità mediatiche, da Süddeutsche Zeitung – testata che ha ricevuto per prima i documenti – fino al britannico The Guardian e al francese Le Monde. L’Espresso e Report sono le due redazioni italiane coinvolte. Sono stati analizzati 13.4 milioni di documenti riservati di migliaia di società offshore (tot. 14. terabyte).

I file provengono da due studi internazionali che forniscono e gestiscono società offshore: Appleby, fondato nelle Bermuda, con nove filiali in altrettanti paradisi fiscali (qui il comunicato in cui nega ogni azione illegale); e Asiaciti Trust, quartier generale a Singapore e altre 7 sedi in luoghi come isole Cook, Hong Kong, Panama e Samoa. Ci sono poi i file di 19 registri commerciali finora inaccessibili gestiti dai governi di paesi come Malta, Cook Islands, Antigua e Barbuda. Il periodo a cui fanno riferimento i files va dal 1950 al 2016.

Cosa contengono i file
Nel complesso, i leak rivelano tante cose, troppe per poter essere riassunte in un solo articolo. Tra le più “curiose”, troviamo: tracce offshore di aerei spia acquistati dagli Emirati Arabi Uniti; oppure l’esistenza di una compagnia di esplosivi delle Barbados, proprietà di un ingegnere canadese, che ha cercato di costruire una “super pistola” per il dittatore iracheno Saddam Hussein; o, ancora, l’entità degli affari nelle Bermuda del defunto Marcial Maciel Degollado, l’influente sacerdote messicano fondatore dei Legionari di Cristo e la cui eredità è stata macchiata dalle accuse di abusi sessuali su minori; la fiduciaria offshore di Sam Kutesa, ministro degli Esteri ugandese e ex presidente dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, creata nelle Seychelles per gestire il suo patrimonio personale; la fondazione “per scopi caritatevoli” alle Bermuda di Henrique de Campos Meirelles, ministro delle Finanze brasiliano. E così via.

Qui è possibile trovare il database pubblico dove si possono consultare più nel dettaglio i file, cercando per paese, nome o impresa.

I grandi nomi coinvolti
Nei files sono menzionate personalità di ogni genere e rango, dalle teste coronate agli sportivi. Vi troviamo per esempio:

  • La regina Elisabetta di Inghilterra. A lei fa capo, ufficialmente, The Duchy of Lancaster, un’immobiliare privata che gestisce beni della corona britannica. Avrebbe investito sette milioni e mezzo di dollari in un fondo delle isole Cayman specializzato nell’acquisto di quote di società farmaceutiche e tecnologiche; il fondo ha investito inoltre in una società di private equity che controlla la Brighthouse, immobiliare criticata per operazioni speculative nel Regno Unito;
  • La principessa Noor di Giordania, indicata come beneficiaria di due trust nell’isola di Jersey che sarebbero dei lasciti destinati a lei e ai figli dal defunto re Hussein di Giordania, padre di suo marito;
  • George Soros, magnate greco e finanziatore democratico, è anch’egli presente negli elenchi: le sue strutture di private equity ricorrono a una rete di offshore per operare nel campo delle riassicurazioni;
  • Politici americani come Wilbur Ross, segretario al commercio della Casa Bianca, e il suo predecessore democratico Penny Pritzker. Ross in particolare ha azioni in una società che ha ricevuto più di 68 milioni di dollari dal 2014 da una compagnia energetica russa di proprietà del genero di Putin, Kirill Shamalov;
  • Il canadese Stephen Bronfman, consulente e amico stretto del primo ministro canadese Justin Trudeau. Secondo gli archivi, ci sarebbero trasferimenti di milioni di dollari in un trust delle isole Cayman. “Manovre offshore che potrebbero aver evitato di pagare imposte in Canada e negli Stati Uniti, secondo gli esperti consultati da Icij che hanno esaminato tremila documenti sull’attività del trust”, scrive L’Espresso;
  • Madonna, che possiede indirettamente azioni in una società di forniture mediche;
  • Paul Allen, co-fondatore di Microsoft: segnalati i suoi investimenti attraverso società offshore in un mega-yacht e alcuni sottomarini;
  • Bono, che detiene quote (di minoranza) di una società registrata a Malta che ha investito in un centro commerciale in Lituania;

Le aziende
Oltre alle banche di spicco come Barclays, Goldman Sachs e BNP Paribas, i clienti che si sono avvalsi dell’aiuto legale di Appleby includono il fondatore di uno dei più grandi conglomerati del settore delle costruzioni nel Medio Oriente, Saad Group, e la compagnia giapponese che gestisce l’impianto nucleare di Fukishima.

C‘è poi anche Apple. In uno scambio di e-mail, gli avvocati della società californiana chiesero ad Appleby di confermare che un possibile trasferimento in uno dei sei paradisi fiscali offshore avrebbe consentito ad una controllata irlandese di “condurre attività di gestione […] senza essere soggetta a tassazione in questi ordinamenti “.

I file rivelano anche come grandi aziende abbiano trovato il modo di ridurre al pressione fiscale creando società offshore di copertura per detenere beni immateriali come il design del logo di Nike e i diritti creativi per le protesi mammarie in silicone.

Tutto questo è legale?
Detenere società offshore è legale, se vengono dichiarate al fisco e alle autorità nazionali. Ma la segretezza che le caratterizza apre le porte a personaggi che vogliono restare nell’ombra, scrive L’Espresso. Ma “le offshore spesso sono scatole vuote, senza dipendenti o uffici: società-schermo utilizzate in complesse strutture di elusioni fiscale internazionale, che drenano miliardi ai bilanci statali. È un’industria che «rende il povero più povero» e «aumenta la diseguaglianza»” come ha spiegato al settimanale del gruppo Gedi e al consorzio Icij la professoressa Brooke Harrington, docente della Copenhagen Business-School.

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