Dal “riposa in pace genio” di Robbie Williams a “il mondo è meno funky” di Simon Le Bon, fino al tweet di Noemi: “ci sono saluti che non vorremmo
Dal “riposa in pace genio” di Robbie Williams a “il mondo è meno funky” di Simon Le Bon, fino al tweet di Noemi: “ci sono saluti che non vorremmo fare mai”, le star di ogni livello e categoria reagiscono alla notizia della morte di Prince con un misto di stupore, tristezza e rassegnazione.
È il terzo “big” della musica mondiale ad andarsene in un’età relativamente giovane quest’anno: dopo David Bowie, morto l’11 gennaio scorso a 69 anni, se ne è andato in marzo anche Keith Emerson, di appena due anni più anziano.
E ora Prince, 58 anni ancora da compiere.
Roger Nelson per l’anagrafe, Prince per il resto del mondo, era di Minneapolis, la città in cui è morto, ed era uno di quei geni inclassificabili, impossibili da incasellare: era un virtuoso della chitarra, il re del falsetto, tastierista, anche discreto batterista, compositore, arrangiatore e pure produttore. Era l’ultimo grande della generazione black di James Brown, Stevie Wonder, Curtis Mayfield, incardinava e fondeva jazz e hip hop, e ogni altra cosa che gli saltasse per la testa.
Era semplicemente un genio di cui è impossibile scegliere un capolavoro tra i tanti di cui è stato autore, interprete, produttore.
Nel settembre del 2014, in controtendenza rispetto a un mercato sempre più avaro di novità, aveva fatto uscire un doppio album “di coppia”: uno era suo, “Art Official Age”, con la collaborazione di Joshua Welton; l’altro, “PlectrumElectrum”, era della sua band femminile, le “3rdEyeGirl”.