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Hong Kong, la riforma elettorale proposta da Pechino

Hong Kong, la riforma elettorale proposta da Pechino
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Ottobre 2014: per 79 giorni, il movimento degli ombrelli blocca il centro di Hong Kong. Ne fanno parte migliaia di persone, unite dalla volontà di

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Ottobre 2014: per 79 giorni, il movimento degli ombrelli blocca il centro di Hong Kong. Ne fanno parte migliaia di persone, unite dalla volontà di dire No alla riforma elettorale proposta da Pechino per questa regione amministrativa speciale.

Con il sistema attuale, il capo del governo viene eletto da un comitato elettorale composto da 1.200 membri, in maggioranza allineati alla Cina comunista.

La riforma prevede che il comitato elettorale nomini tre candidati e che il capo del governo sia eletto tra questi, a suffragio universale, da 5 milioni di residenti permanenti. Un meccanismo che continuerebbe a garantire un esecutivo gradito a Pechino.

I contestatori, che reclamano un sistema genuinamente democratico, si appellano alla Basic Law, il testo quasi-costituzionale ereditato dal dominio coloniale britannico e in vigore a Hong Kong.

Ecco però come, lo scorso ottobre, rispondeva a queste richieste l’attuale capo dell’esecutivo, Leung Chun-Ying: “Il governo della regione amministrativa speciale di Hong Kong non può fare una cosa impossibile secondo la Basic Law. La politica è l’arte del possibile: dobbiamo quindi distinguere tra ciò che è possibile e ciò che non lo è”.

Il problema sta nell’interpretazione della Basic Law, affidata in via esclusiva al Comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, cioè a Pechino.

Quando, nel 1997, Londra cedette Hong Kong alla Cina, quest’ultima si impegnò a mantenere inalterato per almeno cinquant’anni lo stile di vita dei suoi abitanti, in virtù del principio “un Paese due sistemi”.

Per questo, oggi, Pechino non può impedire del tutto l’espressione del dissenso nella regione.

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