"Fortuna che c'è la morte". Depardieu tra vita e carriera

"Fortuna che c'è la morte". Depardieu tra vita e carriera
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Di Euronews
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Un Golden Globe, due Cesar, il premio per la migliore interpretazione a Venezia e Cannes, un Leone d’Oro alla Carriera: 62 anni e più riconoscimenti di quanti possa ormai contenerne la sua bacheca, Gérard Depardieu ancora non riesce a smettere.

Un’abnegazione e un amore per il cinema che per mano di Fanny Ardant il Festival Lumière di Lione ha da poco voluto omaggiare con una retrospettiva e un premio. Euronews ha colto l’occasione per incontrarlo e ripercorrere con lui le tappe della sua carriera.

Frédéric Ponsard, euronews

“Ha oggi l’impressione di essere nel pantheon del cinema, di essere uno dei suoi mostri sacri?”.

Gérard Depardieu

“Non saprei proprio. Non ho mai cercato di essere un mostro sacro, anche se si è cercato di mettermi in questa posizione. Che comunque non rifiuto, sia chiaro! Non intendo in ogni caso fermarmi qui. Quanto mi interessa – ed è un po’ quanto accade qui al festival – è proseguire nella condivisione con il pubblico. Continuare cioè a condividere, come ho sempre fatto con i miei film, dei momenti in cui ci siano emozioni, violenza, tormento… Stare insieme, insomma”. (25/32)

1’21 Euronews:

“Prima ha citato Peter Handke, che diceva che ‘Quando si è attori, si brucia la propria vita…’”. (5/6)

1’29 Depardieu:

(1’35) “Rivedere all’improvviso sullo schermo tutta – o una parte – della propria opera è un po’ una trappola. In ogni film c‘è un momento d’emozione, uno in cui si finisce per essere sopraffatti. E poi, un momento in cui ci si dice invece che è troppo. Ora sto girando un film in cui interpreto un eroe, ma un eroe che ha fatto la guerra del Quattordici. Non muore, ma ne esce con una pallottola in testa. In seguito alla morte di un loro uomo, i tedeschi vogliono prendere in ostaggio venti persone, come si faceva allora. Tutto il villaggio si mobilita quindi per fare in modo di convincere questo Ipu, come si chiama, a proporsi come volontario. Lui finisce per accettare, ma dice che vuole prima essere rassicurato sui funerali che organizzeranno per lui, sulla statua che gli dedicheranno. E continua a ripetere questa cosa. Ecco, rivedendo i miei film è questa l’impressione che ho: che alla fine si è sempre soli nel misurare le conseguenze delle proprie azioni”.

euronews

“Ha parlato di questo film in cui recita insieme ad Harvey Keitel, un film romeno, girato in Romania e in Belgio… Cosa pensa oggi del cinema europeo?”.

Gérard Depardieu

“Penso che purtroppo ci sia un deficit distributivo. Che le televisioni dei diversi paesi non siano affatto all’altezza. Col miraggio di inseguire il pubblico finiscono per compiere tutte gli stessi errori, mentre ci sono talmente tanti canali, che se ne potrebbe dedicare almeno uno a questa missione… Nei cinema, oggi, escono una ventina di titoli a settimana. Una quantità enorme di film, che inondano le distribuzioni e le portano a scegliere semplicemente quelli che rendono meglio. E’ un po’ come al supermercato, una questione di vendite… Ed è un peccato. Si deve ormai puntare alla realizzazione di una serie di eventi, per rinconquistare il pubblico cinematografico”.

euronews

“Lei è un simbolo ben oltre i confini francesi: ha girato con Bertolucci in Italia, con Ridley Scott nel ruolo di Cristoforo Colombo, presto sarà Rasputin… Sente di avere un’anima europea?”.

Gérard Depardieu

“Completamente… Ogni paese ha la sua storia, la sua cultura, e quanto mi interessa è proprio scoprirle, entrarci dentro. Lo spettatore, al cinema, può identificarsi in un eroe o in un personaggio. Per me è la stessa cosa: cerco sempre dei ruoli nei quali il pubblico, che è il mio riferimento, abbia voglia d’identificarsi e con cui abbia voglia di trascorrere un po’ di tempo, quello del film”.

euronews

“Lei è di origini popolari, proletarie. Viene da Châteauroux, una cittadina della Francia centrale. Come si pone di fronte al suo cammino, si sente un ‘self-made-man’?”.

Gérard Depardieu

“Bah, a dire il vero non so. Non ho cercato niente in particolare. La mia fortuna è stata anzi quella di non aver avuto ambizioni. La sola era quella di guardare gli altri e provare a divertirmi con questo sguardo. E allo stesso tempo, di acquistare ai loro occhi della bellezza nel momento in cui finalmente si lasciano sopraffare dalle loro miserie, dalle loro gioie…. E’ semplicemente l’amore per gli altri che mi porta avanti. Esattamente il contrario della bulimia: penso che quando si è bulimici si finisca per morirne. Io invece non ne morirò. Morirò piuttosto come ho vissuto, osservando gli altri… un po’ come il personaggio di Guillaume le Marechal, questo grande cavaliere, di cui dopo la morte la gente si è contesa gli abiti per conservarne un ricordo… Per fortuna quindi la morte è lì. E che l’eternità è invece lontana…”.

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