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Ue, le Big Tech non stanno facendo abbastanza per combattere la disinformazione

La bandiera europea sventola davanti all'edificio del Parlamento tedesco, il Reichstag, a Berlino, giovedì 23 giugno 2016.
La bandiera europea sventola davanti all'edificio del Parlamento tedesco, il Reichstag, a Berlino, giovedì 23 giugno 2016. Diritti d'autore  AP Photo/Markus Schreiber
Diritti d'autore AP Photo/Markus Schreiber
Di Anna Desmarais
Pubblicato il
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Secondo una nuova analisi, le grandi aziende tecnologiche che hanno sottoscritto un codice di condotta volontario dell'Ue contro la disinformazione non stanno facendo abbastanza per contrastarla e rendere accessibili i dati a riguardo

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Secondo un nuovo rapporto, Google, Meta, Microsoft e TikTok non stanno facendo abbastanza in base alle leggi dell'Ue per combattere la disinformazione.

L'Osservatorio europeo dei media digitali (Edmo) ha preso come riferimento il periodo da gennaio a giugno 2024 e ha valutato come questi giganti tecnologici hanno rispettato gli otto impegni fondamentali del Codice di condotta sulla disinformazione dell'Ue, un documento volontario firmato nel 2018 che sarà integrato nella legge sui servizi digitali (Dsa) il 1° luglio.

Il gruppo ha riscontrato un "chiaro divario" tra gli impegni assunti dalle piattaforme nell'ambito del codice di condotta e le prove verificabili della loro attuazione.

"La valutazione identifica lacune consistenti nella trasparenza, nella supervisione indipendente e nei risultati misurabili di tutti gli impegni", si legge nel rapporto, aggiungendo che il codice "rischia di rimanere performativo" se le aziende non si attivano.

Tra gli impegni del codice vi è quello di evitare pubblicità accanto alla disinformazione, di etichettare efficacemente le informazioni fuorvianti o false e di fornire ai ricercatori i dati relativi alle loro piattaforme.

Gli sforzi per combattere la disinformazione "rimangono limitati"

Lo studio ha verificato se i rapporti di trasparenza delle piattaforme contenessero "resoconti completi e dettagliati" su come hanno mitigato la disinformazione e li ha valutati su una scala da molto scarsi a eccellenti.

Nel complesso, il rapporto ha rilevato che gli sforzi per combattere la disinformazione "rimangono molto limitati, mancando di coerenza e di impegno significativo".

Lo studio afferma che, sebbene Meta e Google abbiano lanciato alcune iniziative per combattere la disinformazione, queste vengono spesso criticate "perché superficiali o simboliche".

Ad esempio, il rapporto ha rilevato che l'accesso a strumenti come le etichette per gli annunci politici e il fact-checking di Google e Meta, insieme agli "strumenti per l'integrità dei contenuti" di Microsoft, è ancora un problema, aggravato da quella che viene definita una "mancanza di dati" sul numero di utenti che interagiscono con questi strumenti per Paese.

"Non ci sono dati sul coinvolgimento degli utenti, non ci sono risultati riportati e non ci sono indicazioni sull'effettiva portata di questi sforzi", si legge nel rapporto.

La difficoltà nell'accedere ai dati

Lo stesso problema emerge quando si valuta l'impegno della piattaforma per l'alfabetizzazione ai media.

Progetti come "We Think Digital" di Meta, una partnership di Microsoft con il sistema di valutazione delle notizie NewsGuard e il pre-bunking - per contrastare la disinformazione - "More About This Page" di Google sono iniziative di "alto livello" senza dati misurabili.

Secondo i ricercatori, queste misure sollevano il dubbio che si tratti solo di "gesti dichiarativi".

Meta, Google e TikTok offrono anche pannelli per il fact-checking, suggerimenti per l'utente, notifiche o etichette che spiegano come le informazioni potrebbero essere di fatto errate o fuorvianti, ma le aziende non includono dati reali sulle loro prestazioni.

Google, in particolare, riporta "dati di portata su larga scala" per i suoi pannelli di fact-checking, ma non fornisce "dati significativi", come ad esempio il cambiamento del comportamento degli utenti dopo averli visti.

Quando si è trattato di fornire ai ricercatori dati per studiare la disinformazione sulle grandi piattaforme, solo TikTok ha ricevuto un voto positivo. Tuttavia, i ricercatori intervistati dall'Edmo hanno riferito di aver avuto difficoltà a ottenere dati dal database Research API della piattaforma a causa del suo "processo di richiesta opaco".

Le altre piattaforme forniscono l'accesso a "determinati set di dati" attraverso programmi per ricercatori, ma l'accesso è ancora "altamente limitato", osservano gli autori.

L'Edmo ha utilizzato i rapporti di trasparenza semestrali delle aziende provenienti dalle piattaforme online, un'indagine di esperti e la propria ricerca interna per giungere all'analisi della conformità.

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