Nel conflitto tra Israele e Iran, la rete diventa un campo di battaglia invisibile. Tra sorveglianza, propaganda e disinformazione, la guerra si combatte anche online
Non solo i missili, che solcano i cieli di Iran e Israele. Un altro fronte di guerra si apre nello spazio digitale. I civili, già esposti al fuoco incrociato, si trovano immersi in un paesaggio informativo sempre più militarizzato. I governi utilizzano la rete per sorvegliare, controllare e manipolare la narrazione, riducendo gli spazi di espressione libera e trasformando i social media in strumenti di repressione.
Israele ha stretto il controllo sulle comunicazioni interne, mentre l’Iran, da tempo abituato alla censura sistematica, ha intensificato le sue misure punitive con nuovi livelli di severità.
Quando un post può costare una vita
Durante l’attacco del 7 ottobre 2023 a Israele, Hamas ha colpito la base militare di Nahal Oz grazie anche ai post pubblici dei soldati israeliani. Immagini, selfie e contenuti apparentemente innocui avevano fornito indicazioni cruciali sulla disposizione interna della base. Da quel momento, le forze armate israeliane hanno vietato categoricamente ai soldati l’uso di piattaforme social come Facebook o Instagram all’interno delle installazioni militari.
Anche contenuti di cerimonie o incontri con civili sono stati proibiti. Il timore è che anche una singola immagine possa servire a costruire un profilo di intelligence per i nemici. Secondo la Stanford University, il geotagging può rivelare coordinate precise e rendere vulnerabili intere unità. I social diventano così una risorsa tattica ambivalente: possono informare, ma anche esporre.
La censura si fa legge: l’avvertimento dell’Idf
Mercoledì scorso, il censore militare israeliano, il generale di brigata Kobi Mandelblit, ha lanciato un chiaro monito: chiunque condivida informazioni su attacchi, spostamenti militari o luoghi colpiti, anche su blog o app di chat private, dovrà sottoporre i contenuti a censura preventiva.
In caso contrario, si espone a procedimenti penali. Una mossa che mostra quanto Israele consideri centrale il controllo della narrativa nella guerra moderna. L’obiettivo è impedire che i contenuti diffusi dai cittadini possano essere utilizzati come strumento di guerra dai nemici.
L’Iran minaccia chi posta anche con la pena di morte
Anche l’Iran è pienamente consapevole del potere dei social. Sabato scorso, la Guardia Rivoluzionaria ha avvertito che qualsiasi forma di “scambio di informazioni” interpretata come supporto a Israele – anche attraverso un post o una foto – sarà punita duramente. Nei casi più gravi si applicherà la pena capitale.
La televisione di Stato ha persino invitato i cittadini a cancellare WhatsApp, accusata di condividere dati con Israele. WhatsApp ha respinto le accuse, ribadendo che la crittografia end-to-end tutela la privacy degli utenti e che non traccia le loro posizioni.
Non è la prima volta che l’Iran blocca le piattaforme digitali. Dopo le proteste per la morte di Mahsa Amini nel 2022, l’accesso a WhatsApp e Google Play venne interrotto per oltre due anni. Solo nel dicembre 2024 la connessione è stata ripristinata. Le autorità iraniane hanno sviluppato una sofisticata infrastruttura di censura che può essere riattivata in qualsiasi momento. L’attuale conflitto ha solo riacceso una macchina repressiva che non ha mai davvero smesso di funzionare.
I social come sismografi del consenso
Ma i social non sono solo fonti di rischio operativo. Sono anche barometri politici. Secondo Philip Seib, professore emerito alla USC Annenberg School, i governi li usano come un “dispositivo di sondaggio istantaneo” per capire lo stato d’animo della popolazione.
Seib avverte: "I social possono rivelare se la popolazione si stringe intorno al proprio governo o inizia a dubitare della leadership". La sorveglianza digitale, quindi, non è solo difensiva, ma anche strategica. Sabato, un cittadino israeliano è stato arrestato dopo aver postato un’immagine della bandiera iraniana con un messaggio di sostegno. E lunedì, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha promesso una linea dura contro qualsiasi “espressione di gioia” per gli attacchi iraniani.
Secondo Seib, anche i governi esterni osservano con attenzione il sentiment online. “Se fossi Donald Trump – ha detto – vorrei monitorare la situazione per capire se Netanyahu ha davvero il sostegno del suo popolo prima di inviare armi.” Il consenso popolare diventa così una variabile diplomatica e strategica. Le opinioni postate su X o Instagram potrebbero influenzare decisioni politiche a migliaia di chilometri di distanza.
Propaganda e deepfake: la verità sotto assedio
Come in ogni conflitto moderno, la verità è tra le prime vittime. Secondo la professoressa Sahar Khamis dell’Università del Maryland, le persone si informano sempre più attraverso i social, rendendosi vulnerabili a manipolazioni e fake news.
Durante le ultime settimane sono circolati video generati da intelligenza artificiale, immagini decontestualizzate e traduzioni volutamente alterate dei discorsi politici. Israele ha già dimostrato in passato la sua capacità di operazioni digitali: nel 2023, il ministero degli Esteri ha diffuso annunci con immagini violente e linguaggio emotivo, a volte con contenuti AI.
Alcuni di questi spot sono stati rimossi da Google per violazione delle regole sulle immagini scioccanti. Le redazioni di Euronews in lingua araba hanno smentito diversi video virali che si sono poi rivelati scene di videogiochi, come attacchi a raffinerie o edifici del Mossad mai avvenuti.
Interruzioni mirate: il silenzio imposto dall’Iran
L’Iran ha fatto della limitazione della rete un’arma sistemica. Dall’inizio delle ostilità con Israele, la velocità di internet è stata ridotta e le interruzioni intermittenti si sono moltiplicate. Mercoledì scorso, secondo NetBlocks, l’Iran ha vissuto un blackout totale durato oltre 12 ore.
Il governo ha giustificato la misura come protezione contro cyberattacchi. Ma Amir Rashidi, esperto del Miaan Group, ha spiegato a Euronews che si tratta piuttosto di una strategia per ostacolare la diffusione di informazioni non controllate. Le conseguenze sono reali: molte persone non riescono a usare Google Maps per scappare, restano isolate, senza carburante né acqua.
Starlink riaccende la connessione
Nel weekend, Elon Musk ha annunciato su X di aver attivato il servizio satellitare Starlink in Iran per contribuire a ripristinare la connettività. Un’azione simbolica ma che sottolinea quanto la guerra dell’informazione sia oggi centrale quanto quella sul terreno. In un conflitto dove ogni dato può diventare un’arma, il controllo del flusso informativo è ormai parte integrante della strategia militare.