La Commissione europea ha deferito l’Ungheria alla Corte di giustizia Ue per aver liberato oltre 2.000 trafficanti di migranti, violando le norme comunitarie. Proteste dall’Austria
La Commissione europea ha deferito l’Ungheria alla Corte di giustizia dell’Unione europea per violazione delle norme comunitarie sul contrasto al traffico di migranti.
Il provvedimento fa seguito all’adozione, da parte del governo di Viktor Orbán, di un controverso decreto che ha permesso la liberazione anticipata di oltre 2.000 trafficanti di esseri umani, convertendo la pena detentiva in una cosiddetta "detenzione di reinserimento".
In una nota ufficiale, Bruxelles ha dichiarato che il decreto, entrato in vigore nell’aprile 2023, mina la capacità dell’Ue di contrastare efficacemente il traffico di migranti, indebolendo il carattere deterrente delle sanzioni previste dalla legislazione europea.
Tensioni con l’Austria e impatto sulla sicurezza
Il rilascio dei detenuti era condizionato unicamente all’obbligo di lasciare l’Ungheria entro 72 ore, ma poiché il Paese fa parte dello spazio Schengen, la maggior parte dei trafficanti si è rapidamente trasferita in Austria e poi in altri Stati dell’Europa occidentale.
Questo ha scatenato una forte reazione diplomatica da Vienna, che ha denunciato l’azione ungherese come una minaccia diretta alla sicurezza europea e ha rafforzato i controlli di frontiera.
Un portavoce del ministero degli Interni austriaco ha definito i trafficanti "criminali pericolosi le cui azioni mettono a rischio vite umane".
Bruxelles: "L’Ungheria non ha fornito spiegazioni sufficienti"
La Commissione aveva già inviato una lettera di messa in mora a Budapest nel luglio 2023, segnalando che la misura poteva violare il diritto dell’Unione. Nonostante ciò, il governo ungherese non ha affrontato le preoccupazioni sollevate, sostenendo che il provvedimento era necessario per alleggerire il sovraffollamento carcerario e ridurre i costi.
Bruxelles ha giudicato queste giustificazioni insufficienti e inadeguate di fronte alla gravità del fenomeno, decidendo così di ricorrere alla Corte di giustizia europea, massimo organo giurisdizionale dell’Ue in materia.
Per ora, il governo ungherese non ha rilasciato alcun commento ufficiale sulla decisione.