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I colloqui tra Stati Uniti e Iran sul nucleare si terranno a Roma

Macchine centrifughe nell'impianto di arricchimento dell'uranio di Natanz, nell'Iran centrale, 5 novembre 2019
Macchine centrifughe nell'impianto di arricchimento dell'uranio di Natanz, nell'Iran centrale, 5 novembre 2019 Diritti d'autore  Iranian Presidency Office via AP
Diritti d'autore Iranian Presidency Office via AP
Di Emma De Ruiter Agenzie: AP
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In precedenza l'Iran aveva insistito sul fatto che il prossimo ciclo di colloqui sul nucleare tra Teheran e Washington si sarebbe dovuto svolgere in Oman

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L'Iran ha confermato che il prossimo round di colloqui nucleari con gli Stati Uniti, previsto per il fine settimana, si terrà a Roma, dopo la precedente confusione sulla sede dei negoziati.

Inizialmente i funzionari avevano indicato Roma come sede dei negoziati, ma martedì scorso l'Iran aveva insistito sul fatto che i negoziati sarebbero svolti in Oman.

Ma intanto è stato confermato il paese del Golfo come mediatore nei colloqui. I delegati dell'Oman saranno presenti infatti a Roma per facilitare il dialogo tra le parti, come annunciato dalla TV di Stato iraniana.

Il ministro degli Esteri dell'Oman, Sayyid Badr bin Hamad bin Hamood Al Busaidi, ha già fatto da interlocutore tra le due parti nei colloqui dello scorso fine settimana nella capitale Muscat.

La posta in gioco dei negoziati non potrebbe essere più alta per le due nazioni che si avvicinano a mezzo secolo di inimicizia.

Pessimi rapporti tra Iran e l'amministrazione Trump

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ripetutamente minacciato di scatenare attacchi aerei contro il programma nucleare iraniano se non si raggiunge un accordo.

I funzionari iraniani, non curanti delle minacce, hanno ammesso che potrebbero perseguire lo sviluppo di un'arma nucleare con le loro scorte di uranio arricchito a livelli molto vicini a quelli necessari per le armi.

Un lavoratore in bicicletta davanti all'edificio del reattore della centrale nucleare nella città meridionale di Bushehr, 26 ottobre 2010
Un lavoratore in bicicletta davanti all'edificio del reattore della centrale nucleare nella città meridionale di Bushehr, 26 ottobre 2010 AP Foto

Il vicepresidente iraniano si dimette

L'annuncio di mercoledì è arrivato mentre il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha formalmente approvato le dimissioni di uno dei suoi vicepresidenti, Mohammad Javad Zarif, che è stato il negoziatore chiave di Teheran nell'accordo nucleare del 2015 con le potenze mondiali.

Mohammad Javad Zarif è stato uno dei principali sostenitori di Pezeshkian nella sua elezione l'anno scorso, ma ha attirato le critiche degli integralisti della teocrazia sciita, che da tempo sostengono che Zarif abbia concesso troppo nei negoziati.

"Pezeshkian ha sottolineato che, a causa di alcune questioni, la sua amministrazione non può più beneficiare delle preziose conoscenze e competenze di Zarif", si legge in un comunicato della presidenza.

Con un decreto, il presidente ha nominato Mohsen Ismaili, 59 anni, nuovo vicepresidente per gli affari strategici. Nel sistema politico iraniano, il presidente ha più vicepresidenti. Ismaili è noto come politico moderato ed esperto di diritto.

Il capo dell'Osservatorio nucleare delle Nazioni Unite (Aiea), Rafael Grossi, è arrivato a Teheran per gli incontri con Pezeshkian e altri, che probabilmente si terranno giovedì, dato che nelle sue precedenti visite gli impegni si sono svolti la mattina dopo il suo arrivo.

Dalla fine dell'accordo nucleare, avvenuto nel 2018 con il ritiro unilaterale degli Stati Uniti dall'accordo, l'Iran ha abbandonato tutti i limiti al suo programma e arricchisce l'uranio fino al 60% di purezza, avvicinandosi a livelli di qualità per armi del 90%.

Il Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) è stato firmato nel 2015 e ha visto l'Iran accettare di limitare le sue attività nucleari in cambio di una riduzione delle sanzioni internazionali.

Steve Witkoff vuole un "accordo Trump"

Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha messo in guardia gli Stati Uniti dall'assumere posizioni contraddittorie nei colloqui.

"L'arricchimento è una questione reale e accettata e siamo pronti a creare fiducia su eventuali preoccupazioni", ha detto Araghchi, ma ha aggiunto che la rinuncia all'arricchimento "non è negoziabile".

L'avvertimento di Araghchi si riferisce probabilmente ai commenti dell'inviato statunitense per il Medio Oriente Steve Witkoff, che questa settimana ha inizialmente suggerito che un accordo potrebbe vedere l'Iran tornare all'arricchimento dell'uranio al 3,67 per cento, simile al livello del 2015, quando l'accordo fu raggiunto dall'amministrazione Obama.

Witkoff ha poi proseguito affermando che "un accordo con l'Iran sarà completato solo se sarà un accordo con Trump".

"L'Iran deve fermare ed eliminare il suo programma di arricchimento e armamento nucleare", ha scritto sulla piattaforma di social media X.

"È imperativo per il mondo creare un accordo duro ed equo che duri nel tempo, ed è quello che il presidente Trump mi ha chiesto di fare" ha scritto Witkoff.

Nelle ultime ore, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto contatti con tutte le parti coinvolte e ha anche tenuto informati i partner europei e dei paesi del Golfo, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, sulla continua disponibilità italiana ad offrire qualsiasi tipo di supporto alla mediazione Iran-Usa.

La strada però sembra essere ancora una volta in salita.

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