Nella dichiarazione dell'Amministrazione delle acque e delle fognature di Istanbul (Iski), si legge che il tasso di occupazione delle dighe che forniscono acqua a Istanbul è del 21,87 per cento
La Turchia sta affrontando una delle peggiori crisi idriche degli ultimi decenni. A Istanbul, il livello delle dighe che riforniscono la metropoli è crollato dal 66 per cento di giugno a poco più del 21 per cento a novembre. Alcuni bacini sono ormai quasi asciutti.
La situazione è ancora più drammatica a Smirne, dove l’acqua delle dighe è scesa sotto i livelli critici e le riserve sotterranee, normalmente utilizzate come risorsa di emergenza, risultano esaurite. "A differenza di Istanbul o Bursa, noi non abbiamo più acqua di riserva", ha dichiarato Doğan Yaşar, docente dell’Università Dokuz Eylül.
La Turchia non è ancora un Paese privo di risorse idriche, ma rientra nella categoria degli Stati “sotto stress idrico”. Oggi l’acqua dolce disponibile per abitante è tra i 1.300 e i 1.400 metri cubi all’anno. Se questa tendenza continuerà, gli esperti temono che il Paese possa essere classificato come “povero d’acqua” entro il 2050.
La causa principale è la crisi climatica: meno precipitazioni, temperature più alte e periodi di siccità prolungati, soprattutto nella regione mediterranea. A incidere sono anche l’aumento della popolazione e lo sfruttamento intensivo dell’acqua da parte dell’agricoltura e dell’industria.
Come fare agricoltura in modo sostenibile
L’agricoltura è il settore che consuma più acqua, fino al 70 per cento del totale, spesso attraverso sistemi di irrigazione obsoleti che sprecano una grande quantità di risorse. In molte aree del Paese si coltivano prodotti ad alta richiesta idrica, come cotone e mais, anche in zone aride. Sul fronte industriale, crescono le proteste contro le miniere d’oro e le centrali termoelettriche, accusate di consumare enormi quantità d’acqua e di inquinare le falde mediante processi chimici come il trattamento con cianuro.
Parallelamente, si discute anche di soluzioni. In agricoltura, metodi più efficienti come l’irrigazione a goccia o l’uso di tecnologie intelligenti potrebbero ridurre il consumo dal 20 al 50 per cento. In alcune zone aride si sperimentano reti per raccogliere acqua da nebbia e umidità.
Desalinizzare costa
Un altro tema centrale è la desalinizzazione dell’acqua di mare, già diffusa in Paesi come Israele o Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, si tratta di una tecnologia molto costosa ed energivora, che produce grandi quantità di salamoia, un residuo altamente salino che può danneggiare gli ecosistemi marini.
Secondo gli esperti, la soluzione non può basarsi solo sul risparmio domestico, ma richiede politiche strutturali: modernizzazione dell’agricoltura, gestione delle risorse e riduzione dell’impatto industriale. Come afferma il climatologo Peter Gleick, "la desalinizzazione può essere una risposta strategica, ma non può diventare la base della gestione idrica". Serve una transizione verso un uso più intelligente e sostenibile dell’acqua, prima che la crisi diventi irreversibile.