Nel tentativo di evitare l'imposizione di dazi severi, molti Paesi asiatici stanno cercando di concludere grandi accordi sul Gnl con gli Stati Uniti. Ma questo potrebbe essere disastroso per la transizione verso l'energia pulita?
Diversi Paesi asiatici, tra cui Vietnam, Giappone, Thailandia e India, hanno proposto di aumentare significativamente le importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti per evitare nuove tariffe doganali. La mossa, emersa nel quadro delle trattative con l’amministrazione Trump, si presenta come concessione economica in grado di attenuare le tensioni sul deficit commerciale bilaterale.
Il Vietnam ha già firmato un accordo per costruire un terminale di importazione del Gnl in collaborazione con una società americana, mentre il Giappone ha recentemente sottoscritto contratti ventennali con fornitori statunitensi per ricevere oltre 5 milioni di tonnellate di carburante all’anno a partire dal 2030. Anche Thailandia, India e Filippine hanno espresso interesse in progetti legati al Gnl, inclusi quelli legati allo sviluppo di un maxi gasdotto tra il North Slope dell’Alaska e il porto di Nikiski, lungo oltre 1.200 chilometri.
Nonostante il Gnl venga presentato come una risorsa più pulita del carbone, gli esperti avvertono che si tratta comunque di un combustibile fossile che contribuisce alle emissioni climalteranti. Inoltre, i contratti a lungo termine – spesso vincolati da clausole "take-or-pay" – rischiano di bloccare le economie asiatiche in infrastrutture costose e rigide, ostacolando la transizione verso energie rinnovabili più economiche e sostenibili come solare ed eolico.
Alcuni analisti sottolineano il rischio di restare “intrappolati” in questi sistemi, in quanto la costruzione di gasdotti, terminali comporta investimenti difficili da dismettere nel breve termine. Inoltre, le società legate al settore fossile, spesso influenti a livello politico, tendono a ostacolare attivamente la transizione energetica.
Sul piano commerciale, non è detto che l’aumento delle importazioni asiatiche sia sufficiente a incidere significativamente sul deficit commerciale statunitense. Per colmare i volumi richiesti, i Paesi dovrebbero acquistare quantità di Gnl molto superiori rispetto alla capacità di esportazione attuale degli Stati Uniti.
A ciò si aggiunge il tema della sicurezza energetica. L’affidamento agli Stati Uniti come fornitore primario comporta incertezze legate all’instabilità geopolitica e alla volatilità dei mercati. Eventi globali come la guerra in Ucraina o le tensioni nel Golfo Persico hanno già dimostrato quanto i flussi di Gnl possano essere facilmente ridirezionati, lasciando i Paesi asiatici a corto di forniture nonostante i contratti in essere.
Infine, si segnala che appena l’1 per cento del potenziale solare ed eolico del Sud-Est asiatico è attualmente sfruttato. Secondo diversi analisti, investire su queste fonti rinnovabili offrirebbe una via più sicura, autonoma e sostenibile per soddisfare la crescente domanda energetica della regione.