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I dirigenti di Shein si rifiutano di fare luce sulle accuse di lavoro forzato

Pagine dal sito web di Shein, a sinistra, e dal sito di Temu, a destra
Pagine dal sito web di Shein, a sinistra, e dal sito di Temu, a destra Diritti d'autore  Richard Drew/Copyright 2023 The AP. All rights reserved
Diritti d'autore Richard Drew/Copyright 2023 The AP. All rights reserved
Di Lily Swift Agenzie: AP
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Gli alti dirigenti di Shein e della rivale Temu sono stati convocati presso la commissione parlamentare britannica per le imprese e il commercio per rispondere a domande sul rispetto dei diritti dei lavoratori e sulle modalità di approvvigionamento dei loro prodotti

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I dirigenti del colosso della fast-fashion Shein si sono rifiutati di rispondere alle domande dei parlamentari britannici, che intendevano sapere se i prodotti che l'azienda vende contengono o meno cotone proveniente dalla Cina. Gli alti dirigenti dell'azienda, assieme a quelli della rivale Temu sono stati convocati infatti presso la commissione parlamentare per le imprese e il commercio, per rispondere a domande sul rispetto dei diritti dei lavoratori e sulle modalità di approvvigionamento dei loro prodotti. L'audizione è avvenuta a seguito della diffusione di notizie secondo le quali Shein, fondata in Cina ma ora con sede a Singapore, si starebbe preparando ad essere quotata alla Borsa di Londra. Il debutto potrebbe avvenire nel primo trimestre di quest'anno, con una capitalizzazione di circa 50 miliardi di sterline (60,3 miliardi di euro).

Denunce di violazioni dei diritti umani

Entrambe le aziende stanno aumentando la loro popolarità a livello mondiale, grazie alla vendita di abbigliamento e prodotti per lo più di produzione cinese a prezzi stracciati. Ma sono state anche oggetto di pesanti accuse: si teme che lungo le loro filiere ci siano casi di lavoro forzato. Organizzazioni che si occupano di difendere i diritti umani citano in particolare la vicenda della minoranza etnica degli uiguri, che nella provincia cinese dello Xinjiang sarebbe sottoposta a vessazioni.

Yinan Zhu, consulente della Shein a Londra, ha rifiutato di rispondere alle ripetute domande poste durante l'udienza con le quali si cercava di capire se il cotone proveniente dallo Xinjiang o da altre zone della Cina sia presente nei prodotti messi in vendita. E ha allo stesso modo evitato di dichiarare se gli standard di autoregolamentazione dell'azienda proibiscano l'uso di tale materia prima. Nessuna risposta neppure sulle accuse di lavoro forzato: "Non credo sia nostro compito commentare un dibattito geopolitico", ha affermato la manager.

"Rispettiamo le leggi e i regolamenti dei Paesi in cui operiamo - ha aggiunto -. Siamo conformi alle leggi britanniche in materia". Quindi la dirigente ha insistito sul fatto che migliaia di controlli vengono effettuati per conto di Shein da società esterne verificate per garantire la solidità delle sue catene di approvvigionamento.

Deputati inglesi "inorriditi" per la mancanza di informazioni

Il presidente della commissione Liam Byrne ha dichiarato che i parlamentari sono "inorridita" di fronte alla mancanza di informazioni fornite da Zhu e che le sue dichiarazioni hanno dato ai politici "zero fiducia" nell'integrità delle catene di approvvigionamento di Shein: "La riluttanza a rispondere a domande basilari ha francamente rasentato il disprezzo".

Shein è stata fondata in Cina nel 2012 ed è cresciuta rapidamente fino a diventare un leader globale nel settore della fast fashion, con spedizioni in 150 Paesi. A ottobre Shein ha dichiarato di aver raddoppiato i profitti nel Regno Unito nel 2023, con un aumento delle vendite di quasi il 40 per cento, a 1,5 miliardi di sterline (1,8 miliardi di euro).

La proposta di quotazione a Londra ha suscitato però le preoccupazioni di politici e altri soggetti, tra cui il commissario indipendente anti-schiavitù del Regno Unito, per i potenziali problemi etici e di governance. Un precedente tentativo di Shein di quotarsi negli Stati Uniti era stato bloccato da parlamentari americani che volevano che l'azienda dimostrare proprio di non avvalersi del lavoro forzato di appartenenti alla minoranza musulmana degli uiguri.

L'avvocato di Temu, Stephen Heary, ha dichiarato nel corso dell'audizione che la questione del lavoro forzato rappresenta un problema che preoccupa i suoi dirigenti e che nessun venditore proveniente dalla regione dello Xinjiang era autorizzato ad utilizzare la piattaforma. Un rapporto del Congresso degli Stati Uniti del 2023 ha criticato però le catene di approvvigionamento di Temu, affermando che c'era un "rischio estremamente elevato" che esistano casi di lavoro forzato. Il rapporto affermava che Temu "non conduce alcun audit e non adotta alcun sistema di conformità per valutare" se i suoi fornitori rispettino le leggi statunitensi sul lavoro forzato.

Temu, lanciata nel 2022, è di proprietà della società cinese di e-commerce PDD Holdings. Insieme a Shein, vende di una vasta selezione di prodotti a basso costo - dall'abbigliamento agli articoli per la casa - spediti dalla Cina.

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