Come mai l'Italia ha revocato la vendita di armi all'Arabia Saudita proprio ora

Il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman ricevuto nel 2018 a Parigi. L'Arabia Saudita è stato il più grande importatore di armi al mondo (2015-19)
Il principe ereditario saudita Mohammad Bin Salman ricevuto nel 2018 a Parigi. L'Arabia Saudita è stato il più grande importatore di armi al mondo (2015-19) Diritti d'autore Francois Mori/Copyright 2018 The Associated Press. All rights reserved.
Di Lillo Montalto MonellaDiego Malcangi
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L'annuncio è arrivato all'indomani della conferenza di Riyadh alla quale #Renzi ha partecipato, ospite del principe ereditario saudita bin Salman. Vi spieghiamo il perché di questo tempismo

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A poche ore dal ritorno di Matteo Renzi da Riyadh, dove nel bel mezzo delle consultazioni ha partecipato ad un evento con il principe ereditario Mohammad Bin Salman, il governo uscente ha annunciato lo stop alla vendita di bombe all'Arabia Saudita.

In particolare, il provvedimento riguarda almeno 6 diverse licenze. Una di queste (MAE 45560) è stata rilasciata proprio durante il governo Renzi ed è relativa a quasi 20mila bombe aeree, per un valore totale di oltre 400 milioni di euro, prodotte dalle RWM Italia.

"Si tratta della più grossa autorizzazione per l'esportazione di bombe mai rilasciata dai tempi del dopoguerra", indica a Euronews Giorgio Beretta, analista del commercio internazionale e nazionale di sistemi militari e di armi comuni e membro della Rete Italiana Pace e disarmo. Beretta lo definisce "un atto di portata storica, che non si vedeva da 30 anni, ovvero dall'entrata in vigore della legge italiana sull'export di armi".

Il senatore di Scandicci è stato fortemente criticato in Italia non solo per la sua partecipazione alla conferenza saudita, ma anche per essere membro del comitato consultivo dello FII institute, che ha organizzato l'evento. Un organismo, questo, controllato dalla famiglia reale saudita.

La Corona saudita è considerata dagli esperti delle Nazioni Unite mandante e organizzatrice dell'omicidio premeditato del giornalista Jamal Khashoggi.

L'Arabia Saudita, che partecipa alla guerra in Yemen in coalizione con gli Emirati Arabi Uniti, è stata inoltre più volte accusata di massacri indiscriminati nei confronti della popolazione civile proprio in Yemen.

Ma come mai questa revoca arriva proprio il giorno dopo l'evento di Riyadh a cui ha partecipato Renzi?

Il tempismo è solo in parte casuale. Già con il governo Conte 1, nel luglio 2019, il governo italiano adottò una risoluzione votata dal Parlamento italiano che sospendeva le licenze di esportazione di bombe e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per 18 mesi. Il testo approvato non teneva in conto le mozioni di LeU e PD, che chiedevano di sospendere tutte le forniture militari; si applicava, invece, solamente a bombe e missili che potevano essere usate per colpire la popolazione civile.

Avvicinandosi la scadenza di questi 18 mesi, lo scorso dicembre il Parlamento non solo ha prolungato lo stop, votando una risoluzione a firma delle deputate Ehm (M5S) e Quartapelle (PD), ma ha fatto un ulteriore passo in avanti.

La Camera ha infatti deciso di sospendere le nuove licenze, ma anche di revocare quelle in essere, che quindi non potranno più essere riattivate una volta terminata la sospensione. Un blocco totale, insomma.

Il governo uscente ha recepito le indicazioni del Parlamento sul filo di lana.

Non sappiamo se la revoca alle 6 autorizzazioni per l'export di armi verso Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti riguarda solo un'azienda o più aziende.

Come indica Beretta, ogni anno, dal 1990, il governo è tenuto a presentare al parlamento una relazione sulle autorizzazioni e sulle licenze per l'export di armamenti rilasciate dall'Autorità Nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), incardinata presso il Ministero degli esteri.

In essa, sono indicate nel dettaglio le aziende a cui viene rilasciata ogni singola autorizzazione, la tipologia di armamento, la quantità, il valore, ma non viene indicato il paese destinatario della commessa.

Per risalirvi, sottolinea Beretta, è necessario incrociare i dati delle dogane sulle esportazioni effettuate e le relazioni del Ministero dell'Economia e delle Finanze sulle grandi transazioni bancarie. Un lavoro impossibile senza il paziente e determinato lavoro della società civile, come gli esperti della Rete Italiana per la pace ed il disarmo.

L'Arabia Saudita, impegnata non solo in Yemen, ma anche nella guerra in Libia, è stato il più grande importatore mondiale di armi nel periodo 2015-2019 (Sipri: +212% rispetto al 2010-2014). Compra armamenti principalmente da USA (73%) e UK (13%) e Francia (4.3%).

"Fin dall’inizio del conflitto in Yemen, tutti i governi che si sono susseguiti in Italia hanno sempre seguito una politica discutibile dal punto di vista della legalità internazionale. Le licenze di bombe venivano concesse giustificandole sulla base dell’assenza di un embargo del consiglio di sicurezza", dice a Euronews Riccardo Labianco, ricercatore alla SOAS di Londra che si occupa della responsabilità degli stati esportatori di armi in diritto internazionale.

"In verità, a prescindere dagli embarghi del consiglio di sicurezza, l’Italia ha sempre avuto il dovere di non esportare armi verso un paese dove ci fosse il rischio di violazioni del diritto dei conflitti armati e di verificare di non diventare complice di tali violazioni. Tale dovere si basa sulle norme della legge (Italiana) 185 del 1990, la posizione comune del Consiglio Europeo 2008/944 e dal Trattato Internazionale sul Commercio delle Armi (esattamente come nel caso dell’Egitto)".

L'Italia ha il potere di innescare uno stop europeo alla vendita di armi ai regimi più sanguinari

In occasione dell'anniversario del rapimento di Giulio Regeni in Egitto, arrivato un mese dopo la consegna di una fregata da guerra al regime di Al-Sissi, è tornato d'attualità il rifiuto dell'Italia di applicare la stessa severità anche con Il Cairo, con cui sono in ballo contratti per forniture militari di circa 10 miliardi di euro.

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Una trattativa definita "la commessa militare del secolo".

Se l'Italia decidesse di interrompere le forniture militari all'Egitto, a fronte delle persistenti violazioni dei diritti umani e delle libertà democratiche, potrebbe innescare in maniera indiretta un meccanismo di blocco da parte di tutta l’Unione Europea per almeno 3 anni.

Lo può fare in virtù di una norma europea, pensata per evitare la concorrenza sleale, secondo la quale quando un Paese non concede l'autorizzazione all'esportazione di armi, deve darne pronta comunicazione agli altri Stati UE.

Gli altri governi, prima di concedere una simile licenza, dovranno di fatto giustificarsi di fronte al resto del blocco europeo.

Di fatto, le licenze per forniture di sistemi militari non autorizzate da un Stato non possono quindi essere rilasciate da altri Stati membri.

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"Il caso dell’Arabia Saudita, per alcuni aspetti, è più grave delle fregate all’Egitto. Infatti si sapeva che le armi esportate dall’Italia erano bombe per aereo delle quali era stato verificato l’uso nei bombardamenti in Yemen. In questo caso il nesso tra l’export di bombe ed i bombardamenti Sauditi in Yemen era chiaro a tutti", conclude Labianco. "Tutti gli stati esportatori hanno sempre cercato di accaparrarsi le commesse saudite proprio perché si tenevano aperte le fabbriche di bombe, come quella di Domusnovas in Sardegna. Oltre a questo, l’Arabia è un grande esportatore di petrolio, quindi Partnership commerciali armi per petrolio non sono così infrequenti".

Effetto Biden sull'orientamento politico internazionale

Secondo Labianco, il cambio di presidenza in America, con Biden molto più contrario alle esportazioni di armi all’Arabia Saudita senza regole rispetto a Trump - il quale pose il veto una risoluzione del congresso Americano per bloccare le armi all’Arabia - sta chiaramente spingendo paesi come l’Italia a procedere con il blocco delle esportazioni. Paesi come la Germania avevano già bloccato le licenze verso l’Arabia dopo l’omicidio Khashoggi.

Non solo. Biden alla Casa Bianca ha già rilassato i rapporti USA-Iran. "Questa cosa è molto importante perché gli insorti yemeniti sono appoggiati dall’Iran. Con un rilassamento della tensione, la politica aggressiva Saudita contro gli insorti Houti dello Yemen non ha più senso", conclude Labianco.

Ma quante sono, le armi?

Normativa di riferimento, tipologia, destinazioni e i principali contratti autorizzati: tutto è sottoposto a una relativa trasparenza e i dati si trovano solitamente sul sito dell'UCPMA, o Ufficio per il coordinamento della Produzione dei Materiali d'Armamento che fa capo alla Presidenza del Consiglio.

Questo pubblica un rapporto annuale, molto dettagliato. O meglio pubblicava, perché sul sito i rapporti si fermano al 2011.

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Possiamo però ritrovare le relazioni sulle operazioni autorizzate per anni più recenti negli atti parlamentari: per esempio per il 2019 fu presentata da Fraccaro, allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; per il 2018 da Giancarlo Giorgetti; per il 2017 da Maria Elena Boschi.

In estrema sintesi, dai picchi del 2016, quando le vendite toccarono i 14 miliardi di euro, si è ridiscesi nel 2019 al di sotto dei 4 miliardi, più o meno i livelli del 2012. 

Le armi belliche italiane si integrano tendenzialmente nei sistemi d'arma dei paesi alleati e sono quindi tendenzialmente destinati ai Paesi, soprattutto in Medio Oriente e Africa settentrionale, ai quali vanno anche le armi di altri produttori dell'area NATO. Arabia Saudita ed EAU sono tra i principali acquirenti. 

Anche se per esempio gli Emirati, che erano al secondo posto tra i clienti dell'industria italiana nel 2014 con un volume di importazioni pari a 304 milioni di €, sono scesi a poco più di 89 milioni di euro nel 2019, mentre i Sauditi, che compravano dall'Italia per 427 milioni nel 2016, hanno speso "solo" 105 milioni e mezzo nel 2019, piazzandosi all'undicesimo posto tra i clienti nel 2019. Una classifica ormai dominata dall'Egitto, che ha acquistato dall'Italia per 871 milioni nel 2019; e poi il Turkmenistan (446), seguito nel 2019 da Paesi NATO come Regno Unito (419), USA (306), Francia (274), Australia (238) e Germania (213).

Ma sono in gran parte contratti ciclici, che dipendono dalle necessità di rinnovamento dei vari eserciti. Altra cosa è la base costante, frazionale, rappresentata da contratti manutentivi e munizioni.

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