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Sci e crisi climatica: perché il modello economico non funziona più

I cambiamenti climatici renderanno sempre più difficile sciare in numerose località europee
I cambiamenti climatici renderanno sempre più difficile sciare in numerose località europee Diritti d'autore  Matthias Schrader/Copyright 2019 The AP. All rights reserved
Diritti d'autore Matthias Schrader/Copyright 2019 The AP. All rights reserved
Di Andrea Barolini
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Numerose stazioni sciistiche non potranno più puntare sugli sport invernali per via degli impatti dei cambiamenti climatici, che porteranno temperature più alte e mancanza di neve. Ma anche chi resisterà dovrà ripensare il modello di business

Mentre mancano poche settimane ormai alla cerimonia di inaugurazione dei Giochi olimpici invernali di Milano-Cortina, prevista per il 6 febbraio, le piste attorno alla “perla delle Dolomiti” sono innevate. Non sempre, però, il manto bianco tipico degli inverni montani accompagna turisti e sciatori.

È usuale ormai accontentarsi di una presenza della neve limitata alle sole piste. E sempre più spesso, anche sui tracciati, a garantirla è l'innevamento artificiale, che impone un aumento dei costi economici e ambientali, con ripercussioni anche sui prezzi degli skipass. Così, lo sci sta diventando uno sport riservato solo a chi può permettersi di pagare cifre insostenibili per la maggior parte dei cittadini europei.

Con i cambiamenti climatici la maggior parte delle località che hanno ospitato i Giochi olimpici invernali non potrà più farlo

Anche nella rinomata località sciistica in provincia di Belluno, infatti, i cambiamenti climatici stanno rendendo via via più rare le precipitazioni nevose e più alte le temperature. Un problema che affligge l'intero arco alpino. Lo stesso Cio, il Comitato olimpico internazionale, ha riconosciuto l’impatto del riscaldamento globale, provocato principalmente dalla combustione di carbone, petrolio e gas.

Sarà inevitabilmente la stessa geografia delle Olimpiadi a risentire. Dal 1924 ad oggi, sono ventuno le località che hanno ospitato i Giochi invernali. Uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Taylor & Francis - curato da ricercatori dell’università di Waterloo, in Canada - ha spiegato che, senza un’azione rapida e drastica di contrasto ai cambiamenti climatici, solo quattro di tali località risulteranno ancora idonee alla metà del secolo.

Una delle piste che ospiteranno i Giochi olimpici invernali a Cortina d'Ampezzo
Una delle piste che ospiteranno i Giochi olimpici invernali a Cortina d'Ampezzo Alessandro Trovati/Copyright 2025 The AP. All rights reserved

Si tratta di Lake Placid (Stati Uniti), Lillehammer e Oslo (Norvegia) e Sapporo (Giappone). Per tutte le altre, tra caldo e mancanza di neve risulterà semplicemente impossibile ospitare di nuovo i cinque cerchi olimpici, se si raggiungesse un aumento della temperatura media globale di 4 gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. E, al 2080, soltanto la stazione sciistica nipponica potrebbe farlo.

Non solo: anche rispettando l’Accordo di Parigi, ovvero limitando il riscaldamento climatico a un massimo di 2 gradi centigradi, solo nove località “olimpiche” potrebbero accogliere di nuovo l’evento sportivo nel 2050 (appena otto nel 2080).

Italia, Francia, Svizzera, Austria: quanto vale l’economia degli sport invernali nella regione alpina

I Giochi, però, sono previsti solo ogni quattro anni, e per poche settimane. Per chi vive grazie all’economia dello sci, i problemi costituiscono invece una realtà quotidiana.

Le Alpi rappresentano il centro nevralgico del turismo invernale europeo. Secondo quanto indicato dal Piano d’azione dell’Unione europea per la regione alpina, quest’ultima ospita 80 milioni di persone (circa il 15 per cento dell'intera popolazione dell’Ue). E comprende 48 regioni in cinque Stati membri (Germania, Francia, Italia, Austria e Slovenia) nonché due Paesi terzi (Liechtenstein e Svizzera). L’area ospita anche una delle più importanti risorse idriche d’Europa e una biodiversità dal valore inestimabile.

L’Istituto di ricerca Demoskopica prevede complessivamente circa 30 milioni di arrivi dall'estero e oltre 93 milioni di presenze nelle stazioni sciistiche in Italia per la stagione 2025-2026, secondo quanto riferito dall’associazione di categoria Assosport. La stessa analisi indica una spesa turistica diretta pari a quasi 15 miliardi di euro.

Un'immagine di Schladming, in Austria, il 6 gennaio 2023
Un'immagine di Schladming, in Austria, il 6 gennaio 2023 Matthias Schrader/Copyright 2019 The AP. All rights reserved

In Francia, le cifre sono simili, con circa 10 miliardi di euro di giro d’affari, che comprende gli impianti di risalita, il settore ricettivo, la ristorazione e gli affitti di attrezzature. Il settore, inoltre, garantisce (direttamente e indirettamente) oltre 120mila posti di lavoro.

Sempre sul suolo transalpino, nelle stazioni sciistiche, in media il 75 per cento del fatturato degli albergatori è legato proprio agli sport invernali. Quota che sale all’85 per cento per i negozi di articoli sportivi e al 95 per cento per gli impianti di risalita.

Similmente, in Austria si calcola che il turismo invernale generi 12,6 miliardi di euro di fatturato, dando lavoro a ben 250mila persone, pari al 7,6 per cento dell’occupazione complessiva nazionale. Anche in Svizzera, si ritiene che il comparto copra una quota non indifferente dell’economia dello sport, che nella confederazione elvetica vale complessivamente circa 17 miliardi di franchi (18,3 miliardi di euro).

Quali Paesi europei ospitano più comprensori sciistici e più sciatori

Per quanto riguarda i comprensori sciistici, secondo i dati pubblicati dal portale Statista, è la Germania il Paese europeo che ne ospita di più. Ben 498, a fronte dei 349 dell’Italia e dei 317 della Francia. Completano le prime dieci nazioni Austria (253 comprensori), Svezia (228), Norvegia (213), Svizzera (181), Finlandia (76), Slovenia (44) e Spagna (32).

Statistic: Number of ski areas in selected countries in Europe in 2020/21, by country | Statista
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In termini di chilometri di piste percorribili per lo sci alpino, è Sestriere, in provincia di Torino, a vantare il primato, con 400 chilometri complessivi. Al secondo posto figurano due località svizzere: Zermatt, con 360 chilometri e St. Moritz con 350 chilometri.

In Germania il numero più alto di sciatori, seguono Francia e Italia

La Germania detiene un altro primato: quello del numero di persone che sciano. Secondo dati aggiornati alla stagione invernale 2020/2021, si tratta di ben 14,6 milioni di persone. Un dato nettamente superiore agli 8,5 milioni della Francia, ai 7,2 milioni dell’Italia e ai 6,3 milioni del Regno Unito.

Statistic: Number of people who ski in selected countries in Europe in 2020/21, by country (in 1,000s) | Statista
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I dati cambiano però nettamente se si considerano i valori in funzione della popolazione: è il Liechtenstein a presentare la quota più alta, con il 36 per cento, seguito dalla Svizzera con il 35 per cento. Al terzo posto figura l’Austria il con il 34 per cento, che precede una serie di nazioni scandinave. Più indietro Francia (13 per cento), Italia (12 per cento), Belgio (11 per cento), Regno Unito (10 per cento), Spagna (5 per cento) e Portogallo (appena il 2 per cento).

Statistic: Share of people that ski in selected countries in Europe in 2020/21, by country | Statista
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L'Austria è il più grande esportatore di materiali sportivi

Un altro dato che fa comprendere chiaramente il peso dell’industria turistica invernale è quello legato alle esportazioni di materiali sportivi. Gli ultimi dati disponibili riguardano il 2019, e indicano che l’Austria è nettamente il Paese con l’export più alto, pari a 334 milioni di euro. La Francia si attesta a 100 milioni, la Germania a 91 milioni e l’Italia a 54 milioni.

Statistic: Value of skis for winter sports exported in Europe in 2019, by country (in 1,000 euros) | Statista
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È per questo che gli impatti dei cambiamenti climatici saranno particolarmente pesanti a livello economico. Uno studio pubblicato nel 2023 dalla rivista scientifica Nature Climate Change ha spiegato che, su un totale di 2.234 stazioni sciistiche esistenti in Europa, il 53 per cento non potrà contare su un quantitativo di neve sufficiente, anche con un riscaldamento climatico di soli 2 gradi centigradi. In particolare, ad essere condannato sarà un terzo dei comprensori delle Alpi francesi, mentre sui Pirenei si arriverà addirittura all’89 per cento.

Qualora la temperatura media globale aumentasse di 4 gradi rispetto ai livelli preindustriali, sarebbe la quasi totalità delle stazioni europee a non poter contare su un quantitativo di neve sufficiente: ben il 98 per cento.

I cambiamenti climatici sconvolgeranno ecosistemi ed economie montane

"Esiste una variabilità da regione a regione, ma possiamo individuare tre grandi categorie di massicci montuosi in Europa - spiega a Euronews François Hugues, ricercatore presso l'Inrae (Istituto nazionale francese per l'agricoltura, l'alimentazione e l'ambiente) -. Un gruppo presenta altitudini e condizioni piuttosto favorevoli, parliamo ad esempio delle Alpi interne, principalmente in Francia, Svizzera e Austria”.

"Un secondo gruppo - prosegue l'esperto - comprende situazioni di mezzo, molto più vulnerabili rispetto alle condizioni climatiche, come nei casi delle Alpi slovene o dei Pirenei. Infine, ci sono territori che la crisi climatica ha già spinto al limite: i rilievi della penisola iberica o ancora gli Appennini in Italia. Se il secondo gruppo ha ancora qualche margine di manovra, per questi ultimi, fatte salve scelte a livello locale pensate per sostenere alcune aree, è difficile ipotizzare ritorni economici positivi puntando ancora sugli sport invernali".

In molte stazioni si sta già da tempo cercando di tamponare il problema con la neve artificiale. Tuttavia, già nel 2007 uno studio dell’Ocse aveva evidenziato quella che era stata definita la “regola dei cento giorni”. Ovvero l’idea che che un comprensorio deve poter contare su cento giorni all’anno di apertura, con almeno 30 centimetri di neve naturale. Altrimenti, è difficile raggiungere la redditività sperata.

La neve artificiale, una soluzione solo parziale e non priva di costi economici e ambientali

La neve sparata con i cannoni può rappresentare perciò un sostegno, ma non un sostituto. E occorre tenere in considerazione il prezzo: "Per innevare una pista lunga un chilometro, larga circa 50 metri e con uno spessore di 40 centimetri, il costo va dai 30 ai 40mila euro”, spiega l’agenzia Agi.

Un cannone spara neve artificiale a Bormio, in Lombardia
Un cannone spara neve artificiale a Bormio, in Lombardia Luca Bruno/Copyright 2025 The AP. All rights reserved

Secondo la quale “il costo della produzione di neve artificiale varia dai 2 ai 3,8 euro a metro cubo in funzione della temperatura e dell’umidità dell’aria. Con questi valori la produzione è di 2,5 metri di neve per metro cubo d’acqua. Il costo della neve per ettaro è 15mila euro”.

"I costi legati alla produzione in sé di neve (artificiale, ndr) risultano in ogni caso relativamente marginali rispetto a quelli complessivi di sfruttamento di un comprensorio sciistico - precisa Hugues -. Ma c'è anche un fattore ambientale da tenere in considerazione, legato alle risorse idriche e alla loro disponibilità. Spesso occorre infatti creare dei laghi artificiali per poter avere a disposizione l'acqua necessaria, e queste opere rappresentano invece aggravi di costi non indifferenti. In generale, dunque, anche per le stazioni meno impattate dai cambiamenti climatici, occorre ripensare i modelli di business e adattarli alle conseguenze del riscaldamento globale”.

Il Wwf: "Un milione di litri di acqua consumato per un ettaro di piste da sci". L'Ue: serve gestione coordinata delle risorse

Il Wwf ha sottolineato proprio l’impatto in termini di risorse idriche della neve sparata dai cannoni: “Per l’innevamento di base (circa 30 centimetri di neve, spesso anche di più) di una pista di un ettaro, occorre almeno un milione di litri di acqua, cioè mille metri cubi. Mentre gli innevamenti successivi richiedono, a seconda della situazione, un consumo d’acqua nettamente superiore, il che corrisponde approssimativamente a quello annuo di una città di 1,5 milioni di abitanti”.

Per questo l’Unione europea, nella revisione del suo piano d’azione per la regione alpina, contenuto in una comunicazione dell’11 dicembre 2025, ha sottolineato che, di fronte alla pressione dovuta alla crisi climatica, “una gestione comune e ben coordinata dei corsi d'acqua transfrontalieri è essenziale per garantire la tutela, il miglioramento e il ripristino integrati delle risorse idriche e dei loro ecosistemi, ed è fondamentale per la resilienza e la sicurezza idrica dell’Europa”.

Per far funzionare cannoni e lance serve poi energia elettrica, il che produce un aumento dei consumi e delle conseguenti emissioni di gas a effetto serra. Contribuendo così al circolo vizioso che alimenta la crisi climatica. In passato è stato infatti calcolato che, per innevare artificialmente l’intero arco alpino, occorrerebbero circa 600 GWh, pari al consumo annuale di 130mila famiglie di quattro persone.

Costi degli skipass in aumento in Europa: +34,8 per cento in dieci anni

Costi che si ripercuotono sugli sciatori: la spesa per lo sci in Europa è crescita in media del 34,8 per cento, ben al di sopra dell’inflazione, dal 2015 a oggi, con i rincari maggiori in Svizzera, Austria e Italia. Tanto che molti principali comprensori sono diventati ormai inavvicinabili per buona parte dei turisti.

I costi degli skipass in Europa sono aumentati fortemente negli ultimi dieci anni
I costi degli skipass in Europa sono aumentati fortemente negli ultimi dieci anni Charles Krupa/Copyright 2025 The AP. All rights reserved

"Lo sci diventerà uno sport da ricchi - ha spiegato Christophe Clivaz, docente presso l'università di Losanna, alla testata Valori.it. Già lo è, ma lo sarà sempre di più perché i costi per la manutenzione delle piste cresceranno. Senza dimenticare che per sciare occorre comprare o affittare sci e scarponi. E poi giacche, pantaloni, guanti, maschere. Già oggi, in una nazione come la Svizzera, una grossa fetta della popolazione non può permettersi di sciare, soprattutto le famiglie numerose".

Secondo l'associazione di difesa dei consumatori Assoutenti, uno skipass giornaliero per il "Dolomiti Superski", che garantisce l'accesso a tutte le dodici località delle Dolomiti, costa oggi fino a 86 euro al giorno, contro i 67 euro del 2021.

"Si cercherà di attirare una clientela europea abbiente, ma aumenteranno le emissioni legate ai trasporti"

A Roccaraso, in Abruzzo, il prezzo di un titolo analogo raggiunge i 60 euro. Lo stesso biglietto nel 2021 costava 47 euro e lo scorso anno 58 euro. A Livigno, al confine con la Svizzera, si è registrato l'aumento più alto: dai 52 euro del 2021 ai 72 euro nel 2025 (il 38 per cento in più).

"Gli esercenti dei comprensori alpini nei quali lo sci resterà possibile - conclude Hugues - attireranno turisti abbienti, provenienti da più lontano, clientela in arrivo ad esempio dal Regno Unito, ma anche dalla Spagna o dalla Grecia, Paesi nei quali sarà sempre più complicato sciare. Il che potrà essere positivo da un punto di vista economico, ma complicherà le cose dal punto di vista ambientale e climatico, poiché in questo modo cresceranno le emissioni di gas ad effetto serra legate agli spostamenti dei turisti, alimentando ancor di più i cambiamenti climatici".

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