La presidente della Corte penale internazionale, Tomoko Akane, apre la riunione annuale ribadendo che la Cpi non si piegherà alle pressioni di Stati Uniti e Russia, tra sanzioni, mandati di arresto e indagini interne
La presidente della Corte penale internazionale (Cpi), Tomoko Akane, ha aperto lunedì la riunione annuale dell’istituzione con un messaggio diretto e inequivocabile: la Corte non si piegherà alle pressioni degli Stati Uniti né della Russia. Davanti alle delegazioni dei 125 Stati membri, Akane ha denunciato le azioni di Washington e Mosca volte a colpire giudici e funzionari della Cpi per il loro lavoro investigativo.
Negli ultimi anni, infatti, nove membri dello staff - tra cui sei giudici e il procuratore capo Karim Khan - sono stati sanzionati dal presidente statunitense Donald Trump, colpevoli di aver portato avanti indagini su funzionari statunitensi e israeliani.
Parallelamente, la Russia ha risposto al mandato di arresto emesso dalla Corte contro il presidente Vladimir Putin, relativo alla guerra in Ucraina, emettendo a sua volta mandati di cattura contro personale della Cpi.
“Non accettiamo mai alcun tipo di pressione”, ha affermato Akane nel suo intervento, evidenziando come le sanzioni abbiano rallentato il lavoro della Corte in un periodo in cui le richieste di intervento sono in costante aumento.
Già lo scorso anno la presidente aveva avvertito dei rischi derivanti dalle politiche dell’amministrazione Trump. E in effetti, a sole tre settimane dal suo secondo insediamento, Trump ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni dirette al procuratore Khan, in risposta alle indagini sui presunti crimini commessi da Israele, storico alleato di Washington.
Proprio di recente, la Cpi ha emesso un mandato di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra nell’offensiva militare a Gaza.
La sessione annuale, che durerà una settimana, si svolge in un clima di forte tensione, con l’approvazione del bilancio tra i punti cruciali dell’agenda e sotto la pressione di una crescente ondata di critiche politiche e mediatiche.
Il tribunale di ultima istanza sotto attacco
Fondata nel 2002, la Corte penale internazionale nasce come tribunale permanente incaricato di perseguire i responsabili di crimini gravissimi: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione. Il suo intervento è previsto solo quando gli Stati non possono o non vogliono indagare sui crimini commessi nel proprio territorio.
Tuttavia, Paesi di grande peso geopolitico come Stati Uniti, Israele, Russia e Cina non ne fanno parte. La Corte, inoltre, non dispone di una propria forza di polizia e dipende quindi dalla collaborazione degli Stati membri per eseguire i mandati di arresto, un fattore che la rende particolarmente vulnerabile a pressioni e ritorsioni politiche.
A complicare ulteriormente il quadro è la situazione interna: il procuratore Karim Khan si è temporaneamente autosospeso dal ruolo nell’attesa della conclusione di un’indagine sulle accuse di cattiva condotta sessuale, accuse che egli respinge con fermezza.
La presidente dell’Assemblea degli Stati parte, Päivi Kaukoranta, ha riconosciuto che l’indagine sta richiedendo più tempo del previsto, generando frustrazione tra gli Stati membri.