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Religione e conflitto: come Iran e Israele proiettano la fede nelle strategie militari e politiche

Dimostranti, tra cui religiosi, bruciano la bandiera israeliana situata presso l'ambasciata statunitense a Baghdad, in Iraq, lunedì 16 giugno 2025.
Dimostranti, tra cui religiosi, bruciano la bandiera israeliana situata presso l'ambasciata statunitense a Baghdad, in Iraq, lunedì 16 giugno 2025. Diritti d'autore  Hadi Mizban/ AP.
Diritti d'autore Hadi Mizban/ AP.
Di Ekbal Zein & يورونيوز
Pubblicato il
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Le narrative religiose sciite e israeliane influenzano profondamente le politiche di Teheran e Gerusalemme. Tra il ritorno del Mahdi e la “maledizione dell’ottavo decennio”, la religione alimenta visioni opposte sul destino della regione

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Il ruolo della religione nello scontro tra Iran e Israele è spesso visto come un elemento ideologico di fondo, ma in realtà incide concretamente sulle strategie militari, le decisioni politiche e la percezione del conflitto. In entrambi i Paesi, potenti movimenti religiosi plasmano la narrativa nazionale, spingendo le rispettive società a leggere gli eventi in chiave escatologica, cioè legata alla fine dei tempi.

L’Iran e il Mahdi: fede e dottrina militare

Dalla Rivoluzione islamica del 1979, guidata dall’Ayatollah Ruhollah Khomeini, l’Iran ha costruito la propria identità politica sull’idea che l’Islam debba regolare non solo la spiritualità, ma anche la governance e la sicurezza nazionale.

Una visione riflessa nelle Forze armate dei Guardiani della Rivoluzione islamica (Irgc), il cui discorso si intreccia fortemente con l’attesa della venuta del Mahdi, figura messianica dell’islam sciita. Secondo la dottrina dell’Irgc, rafforzare la potenza militare è parte della preparazione per “l’apparizione dell’Imam atteso”, che porterà giustizia sulla terra dopo un’era di ingiustizia.

Il leader supremo Ali Khamenei ha ribadito: “Dobbiamo prepararci per il governo dell’Imam Mahdi, che riempirà la terra di giustizia”.

Questa fede guida molte delle ambizioni militari e geopolitiche iraniane, compreso il suo attivismo nella regione.

Israele e la “maledizione dell’ottavo decennio”

Anche in Israele, alcune componenti religiose interpretano il conflitto con l’Iran (e con il mondo arabo in generale) alla luce di profezie e miti storici ebraici. Una delle narrative più discusse è quella della “maledizione dell’ottavo decennio”: secondo alcune letture religiose, nessuno Stato ebraico nella storia è sopravvissuto oltre gli 80 anni.

Con lo Stato d’Israele che si avvicina al traguardo dei 77 anni di esistenza, la tensione cresce tra i gruppi religiosi più conservatori, che temono una nuova disgregazione interna, come già accaduto nella storia antica e moderna.

Anche l’ex primo ministro Naftali Bennett ha evocato questa paura: “Il nostro Stato si è già disintegrato due volte, una a 80 anni e una a 77. Ora siamo alla terza era. Riusciremo a salvarlo?”.

Fede, profezia e sicurezza regionale

Sebbene le letture religiose siano solo una parte del quadro, influenzano in modo profondo l’opinione pubblica e le scelte strategiche di Iran e Israele. Se in Iran l’ideologia religiosa legittima il potenziamento militare come parte di una missione divina, in Israele certe narrazioni rafforzano un senso d’urgenza nazionale legato alla sopravvivenza dello Stato.

Questa intersezione tra religione e politica rende il conflitto ancora più complesso e difficile da risolvere: non si tratta solo di interessi strategici o economici, ma anche di credenze radicate nella cultura e nella storia dei due popoli.

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