Chi finanzia davvero gli aiuti umanitari a Gaza? Tra opacità, accuse politiche e fame sul campo, la GHF solleva dubbi in Israele e all’estero
La recente istituzione della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), incaricata della distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, sta generando un crescente allarme in Israele. Nonostante l’apparente sostegno di alcune forze politiche statunitensi e israeliane, le operazioni della fondazione sono caratterizzate da un'opacità totale, che solleva interrogativi critici sulle sue reali fonti di finanziamento e sulla trasparenza dei suoi meccanismi gestionali.
Il quotidiano israeliano Haaretz ha descritto l’intera vicenda come “un mistero che lascia perplesse le principali società di marketing in Israele”.
La fondazione, attiva sul campo dal maggio 2025, è formalmente registrata come entità statunitense con sede legale a Ginevra, in Svizzera. Le sue operazioni logistiche sono gestite dalla società statunitense SafeReach Solutions (Srs).
Tuttavia, secondo fonti israeliane, nessuna comunicazione ufficiale è riuscita a stabilirsi con la Srs, mentre importanti aziende israeliane coinvolte nella catena di approvvigionamento riferiscono di interlocutori privi dei fondi promessi.
Secondo una stima della stessa Ghf, il progetto mira a fornire pasti al costo di 1,30 dollari per 1,2 milioni di persone, generando un budget mensile teorico di circa 143 milioni di dollari, escluse le spese logistiche, mediche e igieniche aggiuntive.
Il sospetto di finanziamenti occulti
Le foto circolate online mostrano che gli aiuti distribuiti dalla Ghf provengono da aziende israeliane, alimentando sospetti su un possibile coinvolgimento diretto del governo israeliano o di suoi enti affiliati.
A complicare il quadro, il silenzio ufficiale dei ministeri israeliani della Difesa e delle Finanze, così come del Dipartimento di Stato Usa, i quali si sono rifiutati di rilasciare commenti o fornire garanzie economiche sul progetto. Questo atteggiamento ha accresciuto la sfiducia tra i circoli politici israeliani, già scossi da una crisi umanitaria in rapido peggioramento a Gaza.
L’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, leader del partito Yisrael Beiteinu, ha lanciato un’accusa diretta via social, affermando che i finanziamenti provengono dal Mossad e dal ministero della Difesa israeliano, insinuando che il governo stia di fatto finanziando la crisi a spese dei contribuenti.
In un'intervista a Haaretz, Lieberman ha ammesso di non avere prove concrete, ma ha aggiunto: “Conosco questi sistemi. È evidente che Israele, o suoi rappresentanti, stiano spingendo questo progetto attraverso entità registrate all’estero per mascherare il loro coinvolgimento diretto”.
Una strategia discutibile per escludere l’Onu
Le accuse politiche si intrecciano con quelle strategiche: secondo Lieberman, l’obiettivo di questo sistema parallelo sarebbe escludere le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie internazionali dal processo di distribuzione degli aiuti, affidandolo a entità che non sono vincolate a standard di trasparenza o supervisione internazionale.
Questa scelta sarebbe nata, secondo un’indagine del New York Times, proprio in ambienti israeliani, come risposta al timore che gli aiuti potessero finire nelle mani di Hamas. Ma l’esito sul campo racconta un'altra storia.
Fallimento operativo e crisi umanitaria
Nonostante le dichiarazioni ufficiali, la situazione sul terreno racconta di un fallimento operativo evidente. Un centro di distribuzione degli aiuti nel sud di Gaza è stato recentemente preso d’assalto da migliaia di persone affamate. Le forze israeliane hanno aperto il fuoco sulla folla, provocando diversi feriti, secondo quanto riportato dall’ufficio stampa del governo di Gaza.
Il dramma umanitario si aggrava ogni giorno: mancano cibo, medicinali, acqua potabile. La carestia continua ad avanzare, e i modelli di distribuzione alternativi, come quello promosso dalla GHF, non sembrano in grado di reggere la pressione e la portata della crisi.
La Gaza Humanitarian Foundation, presentata nel febbraio 2025 come risposta “efficace” e “controllata” alla crisi, ha finito per diventare il simbolo di un sistema opaco, fragile e profondamente politicizzato. I dubbi sulle sue origini e finalità aumentano, mentre la popolazione civile di Gaza continua a pagare il prezzo più alto, tra silenzi istituzionali, accuse incrociate e un piano umanitario che, alla prova dei fatti, non ha ancora dimostrato di poter funzionare.