L'esercito israeliano continua a fare pressione sulle forze di pace dell'Onu affinché abbandonino il Libano meridionale. La comunità internazionale sembra esitare nella sua risposta, trasformando l'Unifil in una missione che deve rimanere o deve andarsene
Mentre la diplomazia statunitense cerca soluzioni per un cessate il fuoco in Libano prima delle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, l'esercito israeliano ha aumentato la sua pressione contro i presunti covi di Hezbollah nel sud del Libano e a Beirut.
Domenica un bulldozer dell'Idf ha demolito una torre di guardia del contingente di pace delle Nazioni Unite Unifil a Marwahin, portando ancora una volta i ministri della Difesa del G7 ad esprimere la loro "preoccupazione per tutte le minacce" alla sua sicurezza e a rinnovare il loro sostegno alla missione "per assicurare la stabilità del Libano".
"L'Idf sta probabilmente cercando di forzare il ritiro delle forze Onu che riaprirebbe la strada alla rioccupazione di quel territorio senza la presenza di elementi terzi come i Caschi blu", ha dichiarato a Euronews Enzo Moavero Milanesi, ex ministro degli Esteri italiano e professore di diritto dell'Unione europea presso l'Università Luiss di Roma.
Tra i Paesi europei, Francia, Germania, Italia e Spagna sono i maggiori contributori dei Caschi Blu. Ecco perché l'Unifil rimane un elemento importante - se non vitale - della presenza europea in Medio Oriente e perché le capitali europee sentono che saranno sottoposte a ulteriori pressioni in base alla sua sorte.
"La debacle di Unifil potrebbe trasformarsi in un pesante flop per le Nazioni Unite. E, in una certa misura, potrebbe essere un fallimento allarmante anche per l'Europa, perché ciò implicherebbe l'acuirsi di un altro conflitto molto vicino ai suoi confini", ha detto Moavero Milanesi.
Regole di ingaggio: un "firewall" politico
Rafforzando i piccoli presidi presenti dal 1978, la maggior parte del contingente Unifil è stata dispiegata dopo la guerra dell'estate 2006 tra Israele e Hezbollah.
Il loro compito era quello di monitorare il ritiro dell'esercito israeliano e di coordinare il disarmo degli Hezbollah da parte delle Forze armate libanesi nella regione compresa tra la Linea Blu - il confine tra Israele e Libano - e il fiume Litani.
Secondo Israele è chiaro che i Caschi Blu non hanno svolto correttamente il loro lavoro negli ultimi 18 anni e non hanno impedito a Hezbollah di assemblare il suo arsenale missilistico.
Anche le forze dell'Onu sono finite sotto il fuoco di Hezbollah in diverse occasioni, soprattutto mentre cercavano di impedire le loro attività militari illegittime nel Sud del Libano.
Le accuse israeliane sono parzialmente fondate sui fatti. Tuttavia, è questo un buon motivo per sparare contro i Caschi Blu? E come dovrebbero comportarsi le forze di pace in caso di attacco militare?
Le missioni militari di pace delle Nazioni Unite devono tipicamente affrontare le contraddizioni dei loro mandati che limitano drasticamente l'uso della forza attraverso le cosiddette regole di ingaggio, ha dichiarato a Euronews il generale francese Olivier Passot.
"L'Unifil non è uno strumento di combattimento e non combatte dal 1978. E, in questo caso, ha risposto al fuoco in modo casuale", ha dichiarato Passot, ex ufficiale Unifil in congedo e ricercatore associato presso la Scuola Militare Francese di Studi Strategici (Irsem). Secondo Passot una reazione più forte, in questo caso specifico, avrebbe potuto portare a un confronto militare aperto tra i soldati delle Nazioni Unite e le Forze di Difesa israeliane, Tsahal nell'acronimo ebraico.
"Per i soldati dell'Unifil avrebbe significato affrontare la sfida di una vera operazione di combattimento contro un avversario come l'Idf. E poi?" - Domanda il generale francese - I soldati dell'Unifil non hanno nemmeno l'armamento adatto, hanno solo armi leggere. E non fa parte del loro mandato sparare razzi anticarro contro i cingoli di un carro armato Merkava".
"La difesa legittima è inerente alle regole di ingaggio e permette di rispondere al fuoco immediatamente. La decisione viene presa a livello di leader del plotone locale. Questa è la regola - ha spiegato Passot -. Eppure, in realtà, il capo plotone deve pensare. Esita, perché teme di provocare un incidente politico, ed evita di sparare, anche se teoricamente sarebbe un suo pieno diritto".
L'Unifil è una coalizione multinazionale composta da soldati provenienti da 50 Paesi del mondo.
Tuttavia, quando si tratta di operazioni di terra, la linea di comando è nazionale perché le attività militari si svolgono solitamente a livello di battaglione, sotto la supervisione del comandante. "Se la situazione è più complessa, il comandante deve fare rapporto al Capo di Stato Maggiore che si trova a qualche chilometro di distanza dalla zona dello scambio di fuoco. È molto probabile che il Capo di Stato Maggiore e il comandante in capo dell'Unifil facciano rapporto al segretario generale delle Nazioni Unite a New York", ha detto Passot. Lasciando un'iniziativa molto limitata al comandante tattico locale.
Tutti i Paesi dell'Ue che fanno parte dell'Unifil hanno rapporti cordiali con Israele. Aprire il fuoco contro l'Idf potrebbe avere esiti politici indesiderati. La pratica bellica a volte costringe i soldati a rimuovere qualsiasi tipo di ostacolo. In alcuni casi, le posizioni dell'Unifil potrebbero essere considerate dagli israeliani una sorta di copertura involontaria per le attività delle milizie di Hezbollah.
Secondo il comando di Tsahal, Hezbollah ha costruito tunnel, nascondigli e postazioni di lancio di missili a pochi metri dagli avamposti dell'Unifil.
"Attaccare i Caschi Blu è un atto che va contro lo spirito e la lettera delle disposizioni delle Nazioni Unite - ha detto Milanesi -. Se si raccolgono tutte le prove che servono a dimostrare atti non volontari o deliberati (attacchi all'Unifil), quest'ultimi non sono conformi alle regole dell'Onu. In questo caso le Nazioni Unite possono fare riferimento alla giurisdizione della Corte Internazionale di Giustizia".
Una risoluzione Onu ancora valida?
Le accuse reciproche tra i Caschi Blu e l'Idf sono andate ben oltre il campo di battaglia.
Secondo Israele, la Risoluzione 1701 non è riuscita a garantire a Israele la sicurezza contro le attività militari di Hezbollah ed è diventata una sorta di documento legale sepolto, privando l'Unifil di qualsiasi legittimità giuridica internazionale ad operare nel Libano meridionale.
Gli esperti non sono tuttavia d'accordo.
"L'azione concreta sul terreno dovrebbe essere valutata caso per caso. Dovremmo esaminare le specifiche regole di ingaggio delle forze di pace e l'oggetto della loro missione. E solo una terza parte può farlo, non le fazioni direttamente coinvolte nel conflitto", ha detto Milanesi.
"Non esistono risoluzioni cervellotiche. Anche se non vengono applicate, le risoluzioni Onu rimangono vincolanti. La ragione per cui l'Unifil deve continuare la sua missione è che è una forza di interposizione. Solo le Nazioni Unite e/o i governi nazionali possono decidere di ritirare le truppe".
Il ruolo delle forze di pace non è solo quello di evitare lo scontro diretto con il nemico. Essi riferiscono anche dal campo alla comunità internazionale e al Segretario generale delle Nazioni Unite, il che rende la loro missione in gran parte di raccolta di informazioni.
"Anche se non è formalmente scritto nella Risoluzione 1701, una sorta di attività informativa locale e limitata è implicita nel suo testo", ha affermato Javier Gonzalo Vega, professore di diritto internazionale presso l'Università di Oviedo.
"A parte questo, la risoluzione è stata parzialmente disattesa e questo dà a Israele la giustificazione per intervenire - ha dichiarato Vega a Euronews -. Le autorità libanesi dovrebbero ottenere il controllo completo del territorio per rispettare pienamente gli impegni presi. Ma non è successo. Gli Hezbollah sono rimasti lì".
Il ruolo della sezione di collegamento
Un'altra funzione rilevante dell'Unifil è piuttosto sconosciuta, ha sottolineato Passot: "Il ramo di collegamento assicura la comunicazione tra le due parti, i libanesi e gli israeliani. Non si parlano direttamente. Questa funzione è estremamente importante nelle fasi di bassa intensità del conflitto. Ha evitato centinaia di volte la cosiddetta escalation involontaria del conflitto", ha spiegato il generale francese.
"A volte, piccole pattuglie delle due parti hanno attraversato involontariamente la Linea Blu. E da parte libanese ci sono molti civili che si avvicinano alla linea di contatto. I soldati dell'Unifil arrivano sul posto, fermano le persone e contattano le loro controparti per riferire che non ci sono minacce immediate", ha illustrato Passot.
Non è la prima volta che le missioni militari delle Nazioni Unite vengono criticate per la loro presunta inefficacia nei conflitti.
Durante la guerra bosniaca del 1992-1995, il contingente Unprofor - che comprendeva truppe francesi, spagnole e britanniche - fu bersaglio di diversi attacchi da parte dei belligeranti senza la possibilità di reagire a causa delle regole di ingaggio, ha ricordato Passot.
"Volevano farci credere che fosse il loro avversario a prendere di mira noi. Si sono infiltrati nelle linee nemiche per sparare contro di noi". Le truppe francesi all'aeroporto di Sarajevo erano sistematicamente sotto tiro - ha concluso Passot -. Negli anni Novanta era più difficile individuare le fonti degli attacchi. A volte si trattava di cecchini, altre di armi automatiche pesanti, a volte di piccoli lanciarazzi.