Niente assegno a moglie che si licenzia per farsi mantenere

Motivazioni verdetto sul detenuto all'ergastolo da oltre 30 anni
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Di ANSA
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(ANSA) - ROMA, 07 APR - Esaminando la "tempistica del suo licenziamento" avvenuto "in concomitanza con la separazione" dal marito, la Cassazione è giunta alla conclusione che la signora Aurora M. si era apposta fatta mettere alla porta dall'azienda di suo padre, della quale lei stessa era socia e dipendente, al solo fine di "sostenere" davanti al giudice "la richiesta di assegno a carico del consorte", peraltro "dopo una vita coniugale breve, senza figli, e non connotata da alcuna particolare contribuzione al menage familiare". Per questo gli 'ermellini' - verdetto 9550 della Prima sezione civile - hanno confermato che, in casi del genere, la perdita del lavoro non può essere addebitate alle difficoltà del mercato ma si deve considerare come una "scelta" personale, e dunque non c'è alcun diritto a chiedere l'assegno di mantenimento in caso di crisi coniugale. A questa conclusione era arrivata anche la Corte di Appello di Lecce che, nel 2021, aveva osservato come Aurora M. non avesse fornito alcuna prova del suo "contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune" dal momento che "neppure si è occupata della cura della casa avendo a disposizione personale di servizio" e che quando il marito per lavoro venne promosso e trasferito a Messina, a dirigere l'Arsenale, lei si era rifiutata di seguirlo ma rivendicava lo stesso di avergli fornito il sostegno "morale" per arrivare a quella posizione che, dunque, era dovuta a lei. Nel ricorso in Cassazione, la signora ha ribadito il suo diritto a ricevere l'assegno di mantenimento sottolineando che il successo professionale del marito è l'esempio del fatto "che dietro un grande uomo c'è sempre una grande donna", e che essendo lei una cinquantenne diversamente dal marito aveva meno possibilità di "trovare nuovi partner" e rifarsi una vita. Questi argomenti sono stati bocciati dalla Suprema Corte - presidente del collegio Giulia Iofrida, relatrice Rita Russo - che li ha trovati "generici e giuridicamente irrilevanti" in quanto si tratta di "dissertazioni focalizzate su luoghi comuni e stereotipi" (ANSA).

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