Israele, il governo avvia i negoziati con l'opposizione dopo lo stop alla riforma giudiziaria

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Di Michela Morsa
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Dopo l'annuncio della sospensione momentanea del disegno di legge, il presidente israeliano Herzog ha chiesto alle forze politiche di trovare una soluzione alla grave crisi politica. Le proteste continuano anche contro i colloqui

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Nella serata di martedì 28 marzo il governo israeliano e i partiti di opposizione hanno avviato i colloqui per trovare una soluzione alla crisi politica del Paese innescata dalla controversa proposta dell'esecutivo di riformare il sistema giudiziario israeliano. 

L'incontro tra le diverse forze politiche - caldeggiato dal presidente israeliano Isaac Herzog, che si è proposto come mediatore - è stato reso possibile dalla decisione del primo ministro Benjamin Netanyahu di sospendere momentaneamente il processo legislativo, piegandosi alle "pressioni delle proteste" che vanno avanti da tre mesi e non accennano comunque a placarsi. 

Uno stop arrivato lo scorso lunedì sera proprio dopo due giorni di grandi manifestazioni e di sciopero generale provocati dal licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, che si era detto contrario alla riforma. 

Con un discorso, Netanyahu ha annunciato la sospensione della riforma fino alla fine della sessione della Knesset, e quindi all'estate, così da avere "una vera possibilità di dialogo". Il primo ministro ha però aggiunto di non essere disposto a tollerare che "una minoranza di estremisti voglia fare a pezzi il nostro paese e portarci alla guerra civile".

I colloqui

I negoziati con l'opposizione sono partiti da un colloquio tra la maggioranza e i due leader centristi dell'opposizione, Yair Lapid e Benny Gantz. 

L'obiettivo di questo "primo incontro di dialogo", così l'ha definito il presidente Herzog, è un "percorso negoziale" per raggiungere un compromesso. 

Non smorza di certo i toni la presentazione alla Knesset, nella stessa giornata, di uno dei disegni di legge più contestati della riforma, quello della nomina dei giudici della Corte Suprema. 

La mossa ha fatto infatti infuriare l'opposizione, dal momento che modificherebbe la composizione e i criteri del comitato di nomina dei giudici a favore della maggioranza. 

Il leader nazionalista laico, Avigdor Lieberman, non ha usato mezzi termini: "Netanyahu mente e sputa in faccia alla gente".

I problemi con gli alleati

Sul fronte interno, il premier ha sottolineato che la sua coalizione è "impegnata in un dibattito importante e ne verremo fuori". "L'obiettivo - ha assicurato - è quello di raggiungere vaste intese". 

Ma i problemi e le divisioni non mancano. A partire dalle tensioni con due importanti alleati, il partito di Bezalel Smotrich Sionismo Religioso e Itamar Ben Gvir, a capo del partito di estrema destra Potenza Ebraica e attuale ministro della Pubblica Sicurezza. 

Per tutta la giornata di lunedì gli esponenti dei partiti ultraortodossi della coalizione, per cui la riforma della giustizia è un elemento fondamentale del patto di governo, avevano minacciato di lasciare la maggioranza se la riforma fosse stata bloccata.

Mentre Itamar Ben-Gvir aveva annunciato che si sarebbe dimesso se l’approvazione della riforma fosse stata bloccata. Ha accettato la pausa solo in cambio della possibilità di creare una nuova milizia nazionale, un corpo armato che in un certo senso sarebbe sotto il suo comando diretto. 

I toni sono piuttosto freddi anche con gli alleati all'estero. Sembra che sia sfumata l'imminenza di un viaggio di Netanyahu a Washington, come annunciato martedì dall'ambasciatore USA in Israele Tom Nides. 

La Casa Bianca ha precisato che per ora "non c'è alcun piano per una visita", ma che il premier israeliano "probabilmente a un certo punto verrà". 

Le proteste

Nonostante le ultime mosse dell'esecutivo, le piazze rimangono scettiche. Anche dopo l'annuncio della sospensione della riforma, i manifestanti si sono riunini davanti al palazzo presidenziale a Gerusalemme per protestare contro i colloqui tra la maggioranza e l'opposizione. 

Le Bandiere nere, uno dei maggiori gruppi a capo delle manifestazioni, ha confermato la contestazione in programma per sabato sera a Tel Aviv, per la tredicesima volta consecutiva. 

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Lo stesso gruppo martedì ha sfilato in protesta in pieno centro città al grido di 'democrazia'. "La battaglia è ancora lunga", ha sostenuto l'organizzazione, denunciando di non essere pronta ad "accettare una mezza democrazia", in riferimento ai negoziati tra le parti.

Le organizzazioni di protesta, infatti, chiedono il ritiro totale della riforma, che riducendo l'autorità della Corte Suprema in favore del Parlamento e dando ai politici maggiori poteri sulla selezione degli stessi giudici, minaccerebbe l'impianto democratico del Paese. 

Secondo il partito di Netanyahu, Likud, e gli alleati dell'estrema destra e degli ebrei ultraortodossi le modifiche sono necessarie per riequilibrare i poteri tra i legislatori e la magistratura. 

Il sospetto - secondo molti analisti e la leader laburista Merav Michaeli - è che il congelamento della legge annunciato da Netanyahu non sia null'altro che un modo per guadagnare tempo.

"Questa mossa non è un accordo di pace", ha affermato Yohanan Plesner, presidente del think tank Israel Democracy Institute. "Piuttosto, è una tregua forse per raggrupparsi, riorganizzarsi, riorientarsi e poi caricare - potenzialmente - in avanti", ha detto Plesner ai giornalisti.

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