Suicidi in carcere: ecco cosa si sta facendo per prevenire le morti in cella

Carceri in Italia
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Di Euronews
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Giustizia, le misure messe in campo per migliorare le condizioni di vita negli istituti penitenziari italiani. La ministra Cartabia chiede un rapporto sulle cause dei suicidi in carcere

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C’è molto da fare ma i lavori sono in corso.

Gli interventi del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si concentrano sulle falle aperte: 62 detenuti si sono tolti la vita in carcere nel 2020, uno dei numeri più alti degli ultimi 20 anni, e 32 dall'inizio del 2021 ad oggi.
Dal 2020 sino ad oggi, si sono suicidati anche 11 agenti di Polizia pentitenziaria. Si tratta di numeri drammatici perché nelle prigioni sovraffollate al 113% - dati dell’Associazione Antigone, che si occupa di diritti e garanzie nel sistema penale – si vive male e, chi sta nel tunnel, non vede la luce.

La ministra Marta Cartabia ha chiesto al Dap un rapporto sui suicidi degli ultimi cinque anni per comprenderne le cause e individuare quali interventi possono essere implementati per prevenire i gesti estremi, tanto delle persone in stato di detenzione quanto del personale di Polizia penitenziaria.

Suicidi in carcere: "Prioritario migliorare le condizioni di vita"

La riforma Cartabia prevede il riassetto complessivo del sistema con la costruzione di più strutture e la diminuzione del numero di reati per cui si ricorre al carcere.

"Migliorare le condizioni di vivibilità è un aspetto prioritario" dice Massimo Parisi, direttore generale del personale e delle risorse del Dap.
"Stiamo lavorando su due fronti - spiega Parisi - il primo fronte è quello di applicare in maniera rigorosa tutti i protocolli che abbiamo con il servizio sanitario per prevenire gesti autolesivi. È importantissimo, e c'è un indirizzo politico ben chiaro su questo, migliorare le condizioni di vita in carcere. Abbiamo fatto poi - ed è il secondo fronte - una scelta ben precisa: Il 30% del nostro budget sull'edilizia penitenziaria l'abbiamo riservato a interventi su spazi trattamentali. Crediamo che creare opportunità di inclusione, rendere la vita meno oziosa all'interno degli istituti, aumentare le opportunità di lavoro, creare una speranza sul 'fuori' sia decisivo anche per intervenire su questi gesti, che non hanno sempre la stessa causa perché le motivazioni possono essere diverse, ma un intervento che tenda a migliorare le condizioni di vita non può che migliorare il benessere dei detenuti e anche quelli del personale".

I protocolli e le risorse economiche, dunque, ma l'inversione di tendenza è in atto anche sul numero - attualmente esiguo - degli educatori: 1 operatore ogni circa 92 detenuti.

Percorso di inclusione, ma pochi operatori: le misure in cantiere

"Con la scorsa finanziaria abbiamo avuto un incremento della pianta organica di 100 unità da destinare proprio agli educatori - aggiunge il direttore generale del personale del Dipartimento - abbiamo anche un concorso in atto: si è conclusa la fase preselettiva nei giorni scorsi e a settembre ci saranno le prove scritte semplificate per accelerare le procedure concorsuali. A concorso ci sono altri 212 posti che saranno ampliati a 262. È un segno importante perché significa immettere nel sistema figure destinate esclusivamente al trattamento. L'amministrazione crede che attraverso la qualità delle relazioni con i detenuti, che può essere instaurata da chi ha una professionalità specifica, oltre che dal personale di polizia penitenziaria, si giochi molto della qualità della vita e del percorso di inclusione".

L'intervista integrale a Massimo Parisi, direttore generale del personale e delle risorse del Dap ⬇️

Cantiere aperto, dunque: dalle strutture alle risorse umane, con l'obiettivo di recuperare il ruolo di riabilitazione e inclusione affidato al sistema penitenziario.

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