Myanmar: repressione e morte a Mandalay, ancora proteste a Yangon

Nonostante una violenta repressione nella città di Mandalay, in Myanmar, che ha causato la morte di due manifestanti, migliaia di persone sono scese nuovamente in strada a Yangon.
Molti inneggiano a Mya, 20enne uccisa con un colpo d'arma da fuoco alla testa pochi giorni fa.
Togliere forza al regime militare cercando di colpirlo nel portafogli: sembra essere questa la strategia dei manifestanti.
Le proteste sono giunte alla terza settimana, i lavoratori delle ferrovie statali hanno continuato a incrociare le braccia nonostante la furia della polizia.
Tre quarti dei dipendenti pubblici del Paese sono in sciopero, tutte le banche private sono chiuse e le proteste hanno indebolito notevolmente l'economia.
La speranza dei manifestanti è che la comunità internazionale si concentri su sanzioni economiche e pressione diplomatica.
Le azioni aggressive delle forze di sicurezza in un quartiere della città di Mandalay, dove sono alloggiati i lavoratori delle ferrovie statali, hanno riflesso la maggiore attenzione delle proteste sulle imprese e sulle istituzioni governative che sostengono.
La giunta militare ha affermato di essere subentrata - dopo aver arrestato Sun Suu Kyi e altri leader e impedito la convocazione del Parlamento - perché le elezioni dello scorso novembre sono state contaminate da irregolarità di voto.
Il risultato elettorale, che il partito di Sun Suu Kyi ha vinto con una valanga di voti, è stato affermato da una commissione elettorale che da allora è stata sostituita dai militari, la giunta dice che terrà nuove elezioni tra un anno.