Sei ong accusano la polizia francese di controlli d'identità discriminatori

Controllo di polizia in Francia
Controllo di polizia in Francia   -  Diritti d'autore  AP Photo/Francois Mori
Di Cinzia Rizzi  Agenzie:  Amnesty International

L'avvocato della class action: "È umiliante essere controllati non solo a causa delle proprie origini africane o arabe, ma essere controllati regolarmente"

Sei organizzazioni per i diritti umani, tra le quali Amnesty International, hanno lanciato la prima class action contro lo stato francese, per porre fine alla cosiddetta profilazione etnica da parte delle forze di polizia, accusate di "controlli d'identità discriminatori". 

Un'azione collettiva che arriva in un contesto di crisi di fiducia con la polizia transalpina, accusata da più parti di violenza e razzismo.

"È umiliante essere controllati non solo a causa delle proprie origini africane o arabe, ma essere controllati regolarmente: una, due volte al giorno, cinque volte a settimana addirittura", spiega Antoine Lyon-Caen, l'avvocato che ha dato il via alla class action. 

Questa procedura - autorizzata dalla legge del 2016 per la modernizzazione della giustizia nel XXI secolo e che dà ai tribunali il potere di stabilire rimedi, tra i quali ordinare all’Esecutivo di adottare riforme di sistema - arriva dopo diversi di casi di violenza poliziesca e accuse di razzismo, tra cui il pestaggio del produttore musicale nero Michel Zecler a fine novembre

Nel 2016 la Corte di cassazione sentenziò che il fermo e la perquisizione di tre giovani aveva costituito profilazione etnica e fu un "grave esempio di cattiva condotta che chiama in causa la responsabilità dello stato".

"Ogni volta che qualcuno dice che c'è profilazione razziale, la gente pensa che questi milioni di controlli siano casi di profilazione razziale. No, la polizia non sta discriminando e no, la polizia non fa profilazione razziale", sostiene Stanislas Gaudon, portavoce del sindacato Alliance Police.

La messa in mora riguarda in particolare il premier, Jean Castex, il ministro degli Interni, Gérald Darmanin, e il guardasigilli, Éric Dupond-Moretti. Hanno quattro mesi per rispondere alle richieste delle ong, evitando così di finire in tribunale.

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