Germania: storie di detenzione e repressione politica ai tempi della Stasi

Germania: storie di detenzione e repressione politica ai tempi della Stasi
Diritti d'autore Reuters / MICHELE TANTUSSI
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Di Stefania De Michele
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Le testimonianze di ex detenuti nel museo di Hohenschönhausen

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Un alto muro sormontato da filo spinato alla periferia di Berlino est, un luogo che conserva la memoria dolente delle 10.000 persone, che dal 51 all'89, vi sono state rinchiuse in uno stato di completo isolamento, senza luce naturale e in celle insonorizzate. Oggi il carcere-lager di Hohenschönhausen, fino al 1990 luogo di detenzione preventiva della Stasi, la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca, è un museo che accoglie ogni anno circa 450 mila visitatori. Chi l'ha vissuto di persona può raccontare quello che le mura non dicono. Come Hans Schulze, nato nel 1952, per oltre un anno rinchiuso nel carcere della Stasi.

Hans Schulze, una storia kafkiana per l'ex imprenditore tedesco

"Sono un testimone oculare di Hohenschönhausen - dice Hans Schulze - ho un legame particolare con l'ex carcere di custodia cautelare, gestito dalla Sicurezza di Stato della DDR: ero un uomo d'affari della Germania occidentale e sono stato arrestato il 6 settembre 1986 mentre cercavo di lasciare la Germania dell'est. L'accusa che mi era stata rivolta è quella di spionaggio".

La storia di Hans Schulze è kafkiana: durante uno dei suoi viaggi di lavoro nella DDR, Schulze aveva incontrato una donna che non sapeva essere una collaboratrice della STASI, assegnata alla sorveglianza degli imprenditori della Germania occidentale, la cosiddetta "trappola Romeo". Finì in una trappola per entrambi poiché la donna aveva piani di fuga segreti, denunciati dal marito. Il museo racconta questa e molte altre storie.

I metodi della Stasi: un carcere-lager per annientare i detenuti

"Le persone che sono state imprigionate qui erano completamente spersonalizzate - racconta il direttore del museo, Helge Heidemeyer - erano solo numeri ed erano soggetti a una routine quotidiana che non permetteva loro di entrare in contatto con nessuno, tranne le guardie, che li controllavano a intervalli regolari. Allo stesso tempo la loro vita era scandita dall'imprevedibilità. Non sapevano mai quando sarebbero stati portati davanti a chi avrebbe interrogati. Non sapevano mai cosa sarebbe successo. E naturalmente questo sistema li rendeva completamente vulnerabili".

Hans Schulze, che ha trascorso 13 mesi nel carcere, ha visto la Gorgone ed è tornato a raccontare: guida i gruppi di visitatori al museo dal 2013.

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