Si tratta di migliaia di bambini bloccati nei campi siriani: molti sono stranieri
Questa settimana Euronews vi offre una serie di report esclusivi su ciò che resta dell'Isis in Siria e Iraq. E sul perché l'Europa e il mondo dovrebbero interessarsi alla questione. Subito un focus sulla situazione di centinaia di bambini, nati da cittadini europei, che i governi sono riluttanti a riprendere, nonostante i ripetuti appelli delle loro famiglie in Europa. Dal nordest della Siria, la corrispondenza dell'inviata, Anelise Borges.
In teoria, i bambini coinvolti nei conflitti sono tutelati da speciali disposizioni di diritto internazionale che riconoscono la loro vulnerabilità e le loro esigenze. In pratica sono i primi a essere travolti dall'orrore della guerra e, se sopravvissuti, a dover convivere con cicatrici durature.
Moath ad esempio è arrivato a Baghouz quando aveva appena 4 anni. Il piccolo rientra in un particolare gruppo di bambini bloccati nel nord-est della Siria. Sono ciò che resta di una delle organizzazioni terroristiche più brutali che il mondo abbia mai conosciuto: vittime ed eredi del cosiddetto Stato islamico e - dice l'Unicef - non hanno responsabilità.
"Non è colpa loro se sono nati in famiglie associate all'Isis - dice Sherin Murad Ismael dell'Unicef - non è colpa loro se sono nati in città controllate dall'Isis. Loro, i bambini, sono solo vittime".
Circa 40.000 bambini sono attualmente bloccati nei campi nel nordest della Siria: oltre 8.000 di loro sono stranieri, nati da europei. Compresi i due figli di Ilham, per i quali potrebbe richiedere sia il passaporto olandese che quello belga, ma che invece sono a rischio di diventare apolidi.
"Quando li vedo, è così doloroso - dice Ilham - per loro è tutto normale, non sanno che c'e' di meglio di cosi'." Ilham -che ha chiesto di non mostrare la sua faccia- dice di sapere che i suoi due figli sono bloccati a causa di una decisione che ha preso. Ma ritiene ingiusto che paghino per i suoi errori.
Anelise Borges: "Ti penti di esserti unitA all'Isis? Ti penti di aver lasciato l'Olanda?"
Ilham: "Sì. Avevo 19 anni. La scelta non è stata buona. È stato così facile entrarci e uscirne è invece così difficile".
A: "Hai un messaggio per l'Europa?
I: "Non ho un messaggio, ma vorrei dire qualcosa. Ci sono così tanti bambini. Questi bambini cresceranno e si chiederanno: perché siamo ancora in Siria, perché nessuno ci ha aiutato in questa situazione".
Per ora, ciò a cui i bambini non possono rispondere è quello che hanno passato esattamente: quello che hanno visto e che sono stati costretti a fare. Attualmente l'unica cosa chiara a tutti è che sono ancora a rischio: di abusi, violenza, sfruttamento.
L'ONU ha invitato i governi stranieri a rimpatriare tutti i ragazzi al di sotto dei 18 anni dalla Siria nord-orientale e a prevedere programmi specializzati nella tutela dell'infanzia per garantirne il pieno reinserimento nella società. Per ora, però, i governi hanno mostrato riluttanza a riprenderli. E mentre le autorità meditano sul da farsi, le famiglie non sanno come affrontare la situazione. Chiedono ai governi farsi carico di una questione delicata, che coinvolge vittime innocenti.