Il sequestro della figlia dell'ex ambasciatore nord coreano: un caso politico

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Di Simona Zecchi
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Matteo Salvini è chiamato a rispondere in Parlamento dal M5S, mentre FdI chiede l'apertura di una inchiesta da parte della Procura.

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La vicenda della figlia 17enne dell'ex ambasciatore nord-coreano, Jo Song-gil, riportata con la forza a Pyongyang dall'Italia nel novembre scorso, è già diventato un caso politico.

Jo Song-gil, di stanza a Roma e scomparso nello stesso mese (ma l'opinione pubblica ne venne a conoscenza soltanto il 3 gennaio scorso ndr) , è considerato dal proprio Paese di fatto un disertore la cui defezione, secondo la legge nord coreana, potrebbe costargli cara. Il blitz dell'intelligence nord coreana in suolo italiano sarebbe avvenuto prima che la ragazza si potesse congiungere con i genitori, secondo quanto affermato dall' ex numero due della diplomazia di Pyongyang a Londra, Thae Yong Ho, anche lui fuggito ai controlli del regime nel 2016.

Le polemiche politiche non sono tardate ad arrivare, sia nel governo, direttamente dal M5S, sia dall'opposizione. La vice presidente della Camera Maria Edera Spadoni chiede che il vice premier Salvini riferisca in aula sulla questione, gli fa eco sempre in quota 5S il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano che paragona il caso a quello della Shalabayeva e promette che chi è responsabile pagherà. Edmondo Cirielli, in quota fratelli d'Italia, e componente della commissione Esteri invece, invoca l'apertura di una inchiesta da parte della Procura.

Anche la Farnesina si è vista costretta ad intervenire con una nota in cui informa che fu Pyiongang a riferire della volontà della ragazza nel tornare a casa.

Il comitato per la sicurezza Copasir ha già fatto sapere che sta seguendo il caso già da tempo, visto che l'organismo è tenuto ad attivarsi quando su una vicenda emerge un coinvolgimento dell'intelligence

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