Diritto d'autore digitale: "La direttiva non è lo strumento più efficace"

Diritto d'autore digitale: "La direttiva non è lo strumento più efficace"
Diritti d'autore REUTERS/Vincent Kessler
Di Luca Santocchia
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Emilio Tosi, avvocato esperto in diritto privato dell’informatica e delle nuove tecnologie, spiega a Euronews: "Lascia ampi margini di manovra ai vari paesi, un regolamento sarebbe stato più efficace per ottenere una maggiore armonizzazione a livello europeo"

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Tanto rumore per nulla, o quasi. Si è parlato molto della direttiva sul copyright digitale recentemente approvata dal Parlamento europeo. L'argomento, nei mesi che hanno preceduto il voto, ha creato una polarizzazione tra coloro che hanno salutato il provvedimento come un atto dovuto e coloro che invece l'hanno criticato duramente, parlando di censura inammissibile. Una divisione che si è riflessa anche a livello politico, con spaccature all'interno degli stessi partiti.

Prima di parlare del testo, è fondamentale concentrarsi sullo strumento scelto dal Parlamento europeo per regolamentare il settore. "Lo strumento tecnico della direttiva non è certamente quello più efficace in un contesto così complesso e controverso - ha detto a Euronews l'avvocato Emilio Tosi, professore di diritto privato all’Università di Milano Bicocca e direttore del Centro Studi Diritto Nuove Tecnologie di Milano –. Non lo è perché stabilisce dei principi generali, come tipico della direttiva, così lasciando un non trascurabile margine di manovra ai vari Paesi che poi dovranno trasformarla in legge per recepirla nel proprio ordinamento giuridico. Si rischia così di avere differenze, anche significative, da Stato a Stato quando invece nel contesto digitale l’armonizzazione dovrebbe essere la più elevata possibile: e non solo a livello europeo".

Regolamento, uno strumento più efficace

"Uno strumento più efficace - secondo Tosi - sarebbe stato quello del regolamento, come si è fatto con la recente normativa in materia di data protection introdotta con il ben noto GDPR, strumento che persegue una più elevata armonizzazione e statuisce regole che non devono essere sottoposte alle declinazioni normative nazionali in sede di recepimento".

"Non bisogna dimenticare - dice ancora Tosi - che il testo della proposta di direttiva è sì stato approvato dal Parlamento ma ora dovrà essere ulteriormente negoziato e discusso da Commissione e Consiglio, secondo la complessa procedura comunitaria (il cosiddetto trilogo), quindi potrebbe subire e certamente subirà ulteriori modifiche, almeno nei punti controversi dell’articolo 11 e in particolare dell'articolo 13 della proposta".

"Inoltre - sottolinea Tosi - a maggio 2019 ci saranno le elezioni europee del novo Parlamento: bisognerà vedere se ci sarà la volontà politica di portare a fondo la questione nei tempi stretti, prima del voto. Insomma, quello sul diritto d’autore digitale (non continuiamo a chiamarlo copyright che è altra cosa, dal punto di vista giuridico, rispetto all'oggetto della proposta) è un argomento che è salutare e giusto dibattere e approfondire: un esercizio intellettuale doveroso, considerati i temi in campo tra legittima tutela economica del diritto d’autore e del nuovo diritto connesso introdotto dalla proposta di direttiva e la tutela dei fondamentali diritti di libertà di informazione ed espressione. Si può dire, parafrasando Shakespeare, che finora si è fatto un gran rumore per nulla. Nel senso che lo scontro su questi temi è tutt’altro che concluso e il testo definitivo sarà soggetto ad ulteriori modifiche, si auspica migliorative rispetto alla formulazione attuale".

Articolo 11

L’articolo 11 della proposta prevede che "gli editori possano ottenere una remunerazione equa e proporzionata per l'utilizzo digitale delle loro pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizi della società dell’informazione (in buona sostanza gli aggregatori di contenutiche sono ritenuti dall’industria della cultura digitale alla base del fenomeno distorsivo del value gap)".

"Il principio alla base dell'articolo 11 è corretto - spiega Tosi -. Non c'è niente di scandaloso nel prevedere una remunerazione per gli editori e di riflesso per i giornalisti in relazione agli snippet corredati di foto e testi protetti. Bisognerà però fare attenzione in sede di approvazione della formulazione finale della norma citata al fine di evitare effetti collaterali indesiderati. Ad esempio bisognerà mantenere l'esclusione di tutti i casi di informazione non professionale e non destinata allo sfruttamento commerciale in modo tale dal salvaguardare la libertà di informazione. Migliorie, in tal senso, sono già state apportate ma ulteriori precisazioni potranno essere introdotte nei successivi passaggi al fine di garantire al massimo la libertà di informazione e rasserenare anche i più dubbiosi".

Articolo 13

Più complesso, secondo Tosi, il discorso relativo all'articolo 13: "Mentre la giusta remunerazione dell'industria culturale digitale introdotta dall'art.11 è difficilmente contestabile, la questione dei meccanismi di filtraggio dei contenuti è in effetti complessa e può presentare dei rischi sottovalutati". Gli algoritmi utilizzati dalle grandi piattaforme digitali (Google, Youtube e Facebook) infatti non sempre sono in grado di riconoscere le eccezioni al diritto d'autore (un esempio concreto è quello dei brevi spezzoni di film utilizzati per critiche o parodie, eccezioni consentite dalla legge).

“Non a caso - spiega Tosi - proprio in relazione all’articolo 13 si è evocato da più parti un possibile effetto censorio. In tal caso è stato fatto un primo tentativo per escludere un obbligo generalizzato di filtraggio preventivo introducendo un nuovo dovere di cooperazione con l’autore nella ricerca dei contenuti digitali protetti. Si può, tuttavia, migliorare ulteriormente il testo in due direzioni: una soggettiva e una oggettiva. Per quanto riguarda l’ambito soggettivo si dovrebbe intervenire sul testo finale al fine esplicitare chiaramente che i destinatari di tale nuovo dovere di cooperazione - che comporta anche l'utilizzo di tecnologie onerose - siano sempre ed esclusivamente le grandi piattaforme digitali, gli OTT".

"Un timido riferimento all’esclusione delle piccole e micro imprese è stato introdotto - continua Tosi - ma sarebbe opportuno fornire dei criteri quantitativi oggettivi, per esempio, come fatto in altre normative comunitarie, numero di accessi, utenti e fatturato. Più che limitarsi ad escludere i piccoli si potrebbe più chiaramente applicare solo alle grandi piattaforme digitali e al principio follow the money. Per quanto riguarda l'ambito oggettivo del dovere di cooperazione mediante filtraggio per ricercare contenuti digitali protetti, non a strascico, ma individuati analiticamente dall'autore e sotto la vigilanza dell'Autorità competente in materia di comunicazione elettroniche. Ancor meglio se tale filtraggio, cooperativo con l’autore, mirato e non generalizzato dei contenuti fosse limitato ai contenuti digitali audio e video, escludendo i contenuti meramente informativi. E' quindi opportuna, in particolare per l'articolo 13, una riformulazione sostanziale atta a rimuovere ogni possibile rischio, anche non voluto, di effetti censori quali collateral damages della giusta tutela del diritto d’autore e dei diritti connessi anche nel contesto digitale".

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