Sud Sudan: la violenza di genere come arma di guerra

In collaborazione con The European Commission
Sud Sudan: la violenza di genere come arma di guerra
Diritti d'autore Monica Pinna
Di Monica PinnaSelene Verri
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Nel giovane stato africano le ong faticano a prevenire l'aumento delle violenze sulle donne seguito alla recrudescenza del conflitto. L'Ue ha lanciato un appello alle organizzazioni umanitarie

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Il Sud Sudan è entrato nel quinto anno di guerra civile. Il paese più giovane al mondo ha conquistato l'indipendenza dal Sudan nel 2011. Il conflitto è iniziato due anni dopo.

Da allora quasi due milioni e mezzo di persone sono fuggite nei paesi vicini. Ai rifugiati si aggiungono due milioni scarsi di sfollati interni.

7 milioni, quasi due terzi della popolazione, rischiano una grave insicurezza alimentare nei prossimi mesi.

Bentiu, capitale dello stato di Unity, è stata teatro di alcuni dei più violenti scontri dall'inizio della guerra civile. Con l'intensificarsi dei combattimenti, dall'anno scorso, è cresciuto anche il flusso di chi cerca rifugio nel cosiddetto Campo per la protezione dei civili, il più grande insediamento di sfollati del paese. Qui oggi vivono 120 mila abitanti. La maggior parte delle donne arriva qui dopo aver subito violenze e molestie in un paese in cui lo stupro è diventato un'arma di guerra.

Una di loro, che desidera rimanere anonima, racconta la sua esperienza: "Eravamo in molte vicino al fiume, un gruppo di criminali è arrivato e ha scelto sette di noi. Siamo state portate nella foresta. Sapevamo che ci avrebbero violentate. Ci siamo confortate a vicenda dicendoci che succede in tutte le guerre. Se non ti violentano oggi lo faranno domani".

Il 65 per cento delle donne nel paese ha subito una violenza sessuale o fisica, il doppio della media mondiale. Un dato allarmante secondo Mustapha Ben Messaoud dell'Unicef, organizzazione che gioca un ruolo di primo piano nella prevenzione e nella lotta alla violenza di genere: "Il numero di atti di violenza contro le donne, in particolare di violenza sessuale, è aumentato costantemente dal 2013, e ora ci troviamo in una situazione quasi di epidemia, in cui ci sono continue aggressioni contro le donne. La situazione peggiora di giorno in giorno".

Il lavoro delle ong: sostegno psicologico, informazioni, monitoraggio

Che cosa si può fare per aiutare le vittime e lavorare sulla prevenzione? L'ong International Rescue Committee, con la coordinazione dell'Unicef e il sostegno economico dell'Unione europea, gestisce quattro "centri per le donne" all'interno del campo e altri due all'esterno. Qui vengono offerte protezione e assistenza.

Rachel Nyanquoi Jackson, Program Manager dell'Irc, spiega: "Di tutte le donne che sono nel campo oltre il 50 per cento sono state violentate o hanno subito violenze sessuali. Che sia dentro, fuori o arrivando nel campo. Noi diamo loro sostegno psicologico e informazioni sulle conseguenze della violenza, in particolare delle aggressioni sessuali, e in questo caso sulla necessità di assistenza medica".

AID ZONE | RAPE AS A WEAPON OF WAR - SOUTH SUDAN

Venire a vivere nel campo non mette automaticamente fine agli attacchi. Ogni centro dell'Irc registra una ventina di casi di stupro e una dozzina di aggressioni fisiche alla settimana. Fra le attività più pericolose, andare a cercare legna. A scopo di prevenzione i volontari di Nonviolent Peaceforce da tre anni eseguono controlli giornalieri lungo il perimetro del campo, dice una di loro, Rungano Bakasa: "Monitoriamo la situazione semplicemente discutendo con le residenti che tornano dalla raccolta di legna o canne. Grazie a loro ci informiamo sulla situazione della sicurezza. Possiamo quindi diffondere le informazioni basandoci sui loro racconti e in questo modo anche capire come proteggerle meglio".

L'organizzazione, sostenuta da Unicef e Unione europea, indica alle vittime quali sono gli ospedali e i centri all'interno del campo. Prevenire però è più difficile. Casi come quello di Nyakuor, madre di otto figli, violentata l'anno scorso, sono ancora diffusi: "Sono arrivati degli uomini - ricorda -. Tutte le altre sono scappate, ma per me era troppo tardi. Mi hanno raggiunta. Adesso ogni volta che esco sono terrorizzata. Potrebbe succedere di nuovo, ma non ho scelta, devo farlo per i miei figli".

L'appello dell'Ue contro la violenza di genere

I donatori come l'Ufficio europeo per gli aiuti umanitari stanno studiando modi più efficaci di combattere la violenza di genere nei conflitti. A questo scopo Bruxelles ha assunto la leadership dell'appello ad agire contro la violenza di genere in situazioni d'emergenza umanitaria.

"Si tratta di un'iniziativa a livello mondiale con più di 70 membri sotto la guida dell'Unione europea - spiega Bart Witteveen di Echo - che cercano di promuovere un impegno più ampio in termini di risposta umanitaria e assicurarsi che la comunità impegnata nell'assistenza umanitaria faccia davvero qualcosa in questo ambito".

La violenza sessuale su vasta scala nel Sud Sudan è diventata uno strumento di ritorsione contro intere comunità. La risposta umanitaria lavora sul reinserimento delle vittime nelle loro famiglie e nella società.

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