Social media e politica: la campagna dei "like"

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Di Diego Giuliani
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Semplificazione dei messaggi, polarizzazione del dibattito e crescente distacco dalla realtà. Stefano Epifani, Presidente del Digital Transformation Institute, ci parla di "strumenti della politica che ormai integrano i canali dei social al punto di diventarne spesso vittima"

Addio all'utopia delle democrazie digitali: i social sono oggi strumento di impoverimento e semplificazione delle campagne elettorali

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Semplificazione dei messaggi, polarizzazione del dibattito e crescente distacco dalla realtà. Lontani dalle prime utopie della democrazia digitale, i social media a servizio della campagna elettorale stanno impoverendo e piegando il confronto politico a una logica autorefernziale, basata sull'emotività e sottratta a qualsiasi controllo. Stefano Epifani, Presidente dell'istituto di ricerca Digital Transformation Institute e docente di Internet and social media studies all'Università La Sapienza di Roma, ci parla di "strumenti della politica che ormai integrano i canali dei social al punto di diventarne spesso vittima in termini di dinamiche distorsive".

"Se noi abbiamo visto per molto tempo, nei social, la grande speranza di dinamiche conversazionali, di un abbattimento della dimensione di intermediazione e quant'altro - ci dice Stefano Epifani - oggi stiamo vedendo quello che davvero, per come sono strutturati, consentono di fare. Il che vuol dire campagne elettorali avvitate su messaggi molto semplici e ripetitivi, basati spesso su una dimensione che viene definita 'memetica', ossia una dimensione di complessità che deve necessariamente essere conclusa in 30 secondi, nello spazio di un tweet o del tempo che un utente è disponibile a guardare un video su Facebook, piuttosto che su un altro media. Se andiamo ad analizzare la dimensione di collegamento tra contenuti e messaggio, vediamo che l'attenzione verso il contenuto, sia da parte degli emittenti - quindi i politici - che da parte dei fruitori, gli elettori, è sempre più bassa".

I social come specchio autoreferenziale: poco importa se è vero, basta che confermino quello che vogliamo sentirci dire

Per loro stessa natura i social media tendono a creare (e amplificare) semplificazioni che rischiano di trasformarli in grancasse dell'odio, che polarizzano ulteriormente il dibattito. Una dinamica che porta le campagne elettorali ad isterilirsi e concentrarsi su temi contenutisticamente sempre più limitati e presentati con crescente semplificazione.

"La grandissima polarizzazione nasce da quelle che vengono definite 'camere dell'eco' - ci spiega Stefano Epifani -. Ogni utente, in questo caso ogni elettore, è chiuso all'interno sua camera dell'eco, nella quale finisce per sentire sempre di più e con sempre più ridondanza ciò che vorrebbe sentire piuttosto che ciò che è. E questo naturalmente genera dei fenomeni distorsivi della realtà che sono cavalcati da chi si occupa di comunicazione politica. Tutta la campagna elettorale si basa su elementi che hanno una dimensione di distanza dalla realtà fattuale sempre più alta. Quindi ognuno si sente legittimato a dire qualsiasi cosa, abbastanza certo che non ci sarà mai un reale confronto. Poco importa se viene promesso qualcosa che l'Europa non consente. Poco importa se viene promesso qualcosa che l'economia non consente. L'essenziale in questo momento è agganciare l'elettore attorno a una promessa, che diventa del tutto inverificabile e che perde di significato cinque minuti dopo che si è messa una X su una scheda elettorale."

"È vero perché l'ho letto su Facebook" (dove la fake news regna sovrana)

Il combinato effetto di disaffezione ai media tradizionali e crescente fruizione dell'informazione sui social media crea un terreno fertile per il proliferarsi delle cosiddette 'fake news'. Una dinamica tanto più pericolosa, quanto più gli stessi social media sono da molti accreditati come fonte attendibile.

"Oggi il rischio di essere vittime delle 'fake news' è altissimo - ci dice ancora Stefano Epifani -. Ed è altissimo per le caratteristiche peculiari di questo fenomeno, che è un fenomeno generativo, figlio di un altro fenomeno che è stato sistematizzato, sempre negli Stati Uniti: quello della post-verità e di messaggi rispetto ai quali la dimensione razionale passa in secondo piano rispetto a quella emotiva. Quando gli utenti utilizzano internet fanno spesso fatica a capire che stanno utilizzando qualcosa di diverso da quello che era la televisione qualche anno fa. E di conseguenza, così come ci si sentiva legittimati a dire: 'L'ho sentito in televisione', perché sentirlo in tv aveva una dimensione di autorevolezza implicita nel messaggio, oggi molte persone, in assenza di una media literacy strutturata, si trovano a dire: 'L'ho sentito o l'ho letto su Facebook'".

I social parlano alla pancia (e i politici pensano ai "like")

Far west digitale delle fake news, peraltro cavalcate dagli stessi politici sotto forma di promesse inverificabili, i social media sono terreno fertile per il populismo 2.0.

"Non è un caso che i partiti presso i quali si registra il maggior livello di 'engagement' - di coinvolgimento misurabile in termini di dati quantitativi - sono proprio quelli che basano la loro comunicazione su messaggi di pancia, che vanno dal tema degli immigrati a quello dei vaccini, e che in qualche modo richiamano una dimensione di contenuto, spesso completamente distonica e distopica rispetto alla realtà. Un politico diceva che la differenza tra un politico e uno statista si vede nel fatto che lo statista pensa alle prossime generazioni, mentre il politico pensa alle prossime elezioni. Noi oggi siamo governati da una generazione di politici che non pensa tanto alle prossime elezioni quanto, spesso e purtroppo, al prossimo like".

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