Theresa May, un'altra "lady di ferro" alla guida del Regno Unito

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Theresa May ha vinto la lotta per diventare primo ministro, ma una volta al potere lei, che era a favorevole a restare in Europa, dovrà affrontare una battaglia ancora più difficile: il divorzio del R

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Theresa May ha vinto la lotta per diventare primo ministro, ma una volta al potere lei, che era a favorevole a restare in Europa, dovrà affrontare una battaglia ancora più difficile: il divorzio del Regno Unito dall’Unione europea.

“Brexit significa Brexit e noi ne faremo un successo. Non ci sarà alcun tentativo di restare nell’Unione. Ma abbiamo bisogno di un governo attivo, che faccia riforme sociali serie affinché il nostro Paese sia al servizio di tutti”.

E’ con questo discorso unificatore, sociale e senza ambiguità che Theresa May ha parlato al Partito Conservatore davanti ai suoi concorrenti per il posto di premier, che hanno condotto la campagna per il Leave: l’ex sindaco di Londra Boris Johnson e il ministro della Giustizia Michael Gove, ma anche la ministra dell’Energia Andrea Leadsom, anche lei partigiana della Brexit.

Ministro dell’Interno dal 2010, 59 anni, Theresa May è figlia di un prete anglicano. Laureata in Geografia a Oxford, è sposata con Philip John May, banchiere. Orfana di entrambi i genitori a 22 anni (il padre morì in un incidente d’auto, la madre di sclerosi multipla), dopo la laurea lavora per la Banca d’Inghilterra prima di entrare in politica durante gli anni della Thatcher.

Eletta in Parlamento nel 1997, cinque anni dopo è la prima donna a capo del Partito conservatore.
Ha cambiato il modo in cui sono selezionati i candidati per raggiungere una maggiore uguaglianza tra i sessi e anche una migliore rappresentanza delle minoranze etniche.

Alcuni colleghi la considerano fredda e distante: lei si dice “seria e dedita al lavoro”. Per l’ex ministro Kenneth Clarke è “una donna molto difficile”, un commento che May ha girato a suo favore, sottolineando che Jean-Claude Juncker avrebbe presto scoperto quanto può essere difficile. In qualità di ministro dell’Interno si era impegnata a ridurre a 100mila all’anno il numero di immigrati ammessi nel Regno Unito. Promessa che non ha potuto mantenere. Ma sulla quale adesso, con l’uscita dalla Ue, potrà tornare a lavorare.

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