Dal CARA di Mineo alla Campania: come funziona il "business dei migranti"

Dal CARA di Mineo alla Campania: come funziona il "business dei migranti"
Di Sabrina Pisu
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Un tempo villette per i militari americani di stanza a Sigonella, poi crocevia di interessi politici e malavitosi, in cui il sospetto di appalti

Un tempo villette per i militari americani di stanza a Sigonella, poi crocevia di interessi politici e malavitosi, in cui il sospetto di appalti guidati e assunzioni telecomandate si intreccia con quello di compravendita di voti e speculazione sulla pelle dei disperati. Insiders vi porta questa settimana dietro le quinte del CARA di Mineo, il centro d’accoglienza per richiedenti asilo in provincia di Catania, da mesi al centro di un mastodontico scandalo, che sempre più sembra delineare un ormai diffuso “business dei migranti”.

Una breve storia del CARA di Mineo in una scheda dell’agenzia ANSA

Il CARA di Mineo fa scuola

Partiti gli americani, dal 2011, del “Residence degli aranci” resta solo il nome. O meglio: 400 villette a schiera, di cui l’allora premier Berlusconi decide, con il Ministro degli interni Maroni, di fare il più grande centro d’accoglienza per richiedenti asilo in Europa. In principio se ne parla soprattutto per le proteste dei migranti che vi alloggiano. Ragioni e retroscena del degrado passano però a lungo inosservati.

La recente estensione dell’inchiesta sugli appalti ad altri dirigenti e amministratori locali consolida però l’impressione che quella scoperchiata da Mafia Capitale sia solo la punta di un iceberg. E che a guadagnarci fossero in molti. A scapito dei migranti.

L’industria dell’accoglienza a Mineo e dintorni: il punto del Giornale di Sicilia nel marzo 2015

Soldi inghiottiti nel nulla e tempi che si allungano

Al CARA di Mineo incontriamo David. Come tanti altri richiedenti asilo, segue i corsi d’italiano che vengono qui dispensati. Dice di volersi integrare, perché il suo terrore è cosa potrebbe attenderlo se venisse espulso. “Nel mio paese non ho più i genitori e non so neanche che fine abbiano fatto i miei fratelli e le mie sorelle – ci racconta -. Mio padre è stato sgozzato davanti ai miei occhi, come un animale. Ma non mi piace troppo parlare questo. Mi chiedo che fine farò, se da un giorno all’altro mi rispediranno a casa. È questa la mia preoccupazione”.

Al Cara di Mineo si canta, si fanno lezioni di italiano. Le politiche d’emergenza evolvono in vita strutturata, perché i tempi si allungano. I 35-40 giorni di permanenza, previsti all’inizio hanno dovuto cedere a confronto con la realtà. Oggi c‘è chi racconta di essere qui da due, anche tre anni.

Il mistero del ‘pocket money’: Mineo come Isola Capo Rizzuto?
Le voci che raccogliamo denunciano soprattutto ritardi e solo parziale erogazione del cosiddetto “pocket money”, la diaria di 2,50 euro sull’indennità versata dallo Stato, che spetta a ogni migrante. Soldi insomma svaniti nel nulla, come quelli di cui parlava Repubblica, in una inchiesta sul CARA di Isola Capo Rizzuto nel 2014.

“Mi hanno salvata nel Mediterraneo, è vero. Questo lo riconosco – ci dice una richiedente asilo -. Ci danno però meno soldi di quanti dovrebbero: 1,50 euro al giorno invece di 2,50 euro. E da mangiare c‘è riso tutti giorni”.

“La domanda che continuo a pormi è: perché ancora non ci danno i nostri documenti? – si chiede un’altra donna -. Non facciamo che aspettare, anno dopo anno. Senza lavoro, senza niente”.

In principio fu l’appalto. Mani su CARA di Mineo

Le carte della Procura di Caltagirone suggeriscono che se i tempi si sono allungati è anche a causa del business da capogiro: 35 euro al giorno di indennità statali per ogni richiedente asilo che, moltiplicati per la capienza massima di 4.000 persone, fanno quasi 50 milioni all’anno. Le cifre non sembrano corrispondere con le condizioni denunciate dagli ospiti del centro.

In una dettagliata audizione alla “Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza e identificazione dei migranti nei centri d’accoglienza”, già lo scorso marzo il Procuratore capo di
Caltagirone, Giuseppe Verzera, aveva illustrato nel dettaglio le ombre sul processo di assegnazione dell’appalto per la gestione del CARA di Mineo, da parte della commissione giudicante in cui tra gli altri siedeva anche Luca Odevaine.

È quindi al Procuratore Giuseppe Verzera che andiamo a chiedere delucidazioni sulle discrepanze fra indennità erogate alla struttura e cifre che i richiedenti asilo sostengono di aver percepito.

“Noi abbiamo accertato che moltissimi di questi migranti, nonostante assenti dalla struttura, figuravano presenti – ci dice -. E quindi, sostanzialmente, che sono state erogate ingentissime somme di denaro, per prestazioni che non sono mai state effettuate”.

Da Mineo alla Campania: l’ombra della criminalità organizzata

Pocket money sì, ma nelle tasche dei gestori
Quello del Cara di Mineo rischia però di essere solo un esempio. Il sistema di Mafia Capitale sui migranti è esteso anche ad altre regioni, metteva in guardia a novembre Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione.

“Noi stiamo ancora lavorando in Campania – ci dice -. Per esempio nell’indagine fatta dalla procura di Napoli sulle struture campane emergeva che il titolare della struttura prendeva persino i cosiddetti pocket money, ovvero si approppriava delle somme che dovevano essere consegnate ogni giorno ai migranti e li distraeva per finalità personali”.

Villa Angela e le altre: la denuncia di Clément
Seguendo il filo dell’inchiesta arriviamo quindi a Napoli, dove incontriamo Clement. Cittadino ivoriano, arrivato qui oltre un anno fa, ci dice di attendere ancora lo statuto di rifugiato. Ci mostra il video con cui la scorsa estate ha documentato il degrado a Villa Angela, la struttura in cui risiedeva con altri migranti, ai piedi del Vesuvio. La denuncia è rimbalzata sulla stampa, ma in un primo tempo sono finiti tutti per strada.

Dopo un mese di lotte, hanno trovato un’altra sistemazione e da allora Clement mette la sua esperienza al servizio dell’associazione anti-razzista 3 Febbraio che lo ha aiutato. Se la sua vita è migliorata, ci dice, irregolarità e abusi nei centri d’accoglienza sono invece ancora all’ordine del giorno.
“Ho visitato i centri dove stanno alcuni amici – racconta – e la situazione è terribile. Alcuni dormono direttamente per terra, tra i vestiti sparpagliati. Non c‘è acqua calda per lavarsi. Sono abbandonati, puzzano, non hanno niente. E non possono dire niente, perché sennò li cacciano. La situazione quindi non è affatto cambiata”. A supporto delle sue affermazioni ci mostra altri video, in cui richiedenti asilo mostrano letti senza lenzuola e infestati dagli insetti e cucine senz’acqua perché la bolletta non sarebbe stata pagata.

Da hotel all’abbandono a struttura d’accoglienza: il business della riconversione

Il business dei migranti comincia risparmiando su tutto: cibo, pulizia, servizi. E spesso strutture fatiscenti, che nella riconversione in centri d’accoglienza vedono un’opportunità di rilancio. A farci da guida e illustrarci il funzionamento di questo sistema è Ettore Scarmarcia, dell’associazione 3 Febbraio. “Nel corso degli anni – ci racconta -, proprio a causa della forte presenza della criminalità, del degrado e non solo, molti alberghi sono stati abbandonati, progressivamente, e molti di questi proprietari hanno deciso di convertire questi alberghi in centri d’accoglienza”.

#Speculazioni nei #centri di #accoglienza, strutture chiuse in provincia di #Avellinohttps://t.co/I7lXtAUE14#Irpinia#profughi#malaffare

— Ass. 3 Febbraio (@Ass3Febbraio) 17 febbraio 2016

Una decina le strutture di recente chiuse o sequestrate solo nell’Avellinese. Condizioni igieniche inaccettabili, cibo scadente e povertà delle prestazioni offerte sono però pratiche diffuse anche altrove. “Si tratta di strutture fatte per ospitare poche persone – torna a spiegarci Scarmarcia -. Chi le gestisce, cerca invece di stiparcene il più possibile, perché, ovviamente, più ce ne mettono e più soldi guadagnano. Molti dei servizi che dovrebbero fornire, in realtà non vengono forniti. Alla fine quindi guadagnano anche sui servizi che non erogano ai migranti”.

“Li accogliamo perché vogliamo aiutarli”: parola ai gestori

In Campania, quasi un terzo degli oltre 3.500 richiedenti asilo sono in Provincia di Napoli. Un fenomeno che sulla costiera giuglianese si sta “mangiando” un albergo dopo l’altro. A Licola Mare l’Hotel Circe è uno dei cinque già “riconvertiti”. Riusciamo a parlare con il gestore, Nicola Licardo:
“Noi gli diamo l’alloggio, gli diamo da mangiare, gli diamo quello che possiamo – dice -. Della questione economica non sono io che mi occupo. Dovete chiedere alla società che li ha portati. Mi è andato di farlo e di aiutarli. È stato fatto perche mi andava di farlo. Stop”.

INSIDERS - The migration businessReticenza e tesi della buona volontà sembrano tuttavia suffragare il sospetto degli inquirenti, che la criminalità organizzata lucri ormai a pieno titolo sui migranti anche in Campania. Un business che cavalcando stallo e degrado, ruba dignità e prospettive a chi cercava una vita migliore.
“Ogni giorno è difficile – conclude uno dei richiedenti asilo, ospiti dell’Hotel Circe -. Qui ci sono 103 persone e soltanto a 3 hanno dato i documenti. Perché? Siamo qui ormai da un anno e sette mesi. E ancora siamo senza documenti. Si stanno facendo i soldi sulle nostra pelle. Non affrontano il problema delle nostre condizioni di salute. E non affrontano quello dei quattro soldi che ci danno o del lavoro che manca. Tutto è bloccato, qui. Brancoliamo nel buio”.

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