Avanzata populista in Danimarca, la Scandinavia non è più socialdemocratica

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Di Salvatore Falco
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L'estrema destra vince sfruttando il clima da caccia alle streghe che respinge le persone e, allo stesso tempo, la visione idealistica delle socialdemocrazie scandinave

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L’estrema destra danese spalanca le porte del governo al blocco conservatore. Con la conquista di oltre 90 seggi su un totale di 179, i Blu ottengono la maggioranza grazie ai populisti xenofobi del Partito del Popolo danese che ha conquistato oltre il 21% dei voti, diventando la seconda forza politica.

I socialdemocratici restano il primo partito, ma si ritroveranno all’opposizione. La premier Helle Thorning-Schmidt ha subito rassegnato le sue dimissioni.

Il risultato danese conferma l’ascesa dei partiti anti-immigrazione in Scandinavia, come è accaduto in Svezia nel mese di settembre.

Nell’ultimo anno e mezzo i nazionalisti svedesi, ma anche norvegesi e finlandesi hanno fatto registrare i migliori risultati della loro storia politica.

In Norvegia, nelle elezioni del novembre 2013, il Partito del Progresso è entrato per la prima volta in uno schieramento di governo, quarant’anni dopo la sua creazione.

Incentrata, nella sua prima parte, su economia, settore pubblico e sostegni per i disoccupati, la campagna elettorale ha poi virato significativamente verso i temi dell’immigrazione e delle politiche di integrazione.

Un terreno sul quale l’estrema destra gioca al meglio, soprattutto di fronte alla crisi in atto nel Mediterraneo. Anche se il tasso di criminalità è il più basso in Europa, i partiti populisti sono riusciti a criminalizzare i cittadini stranieri e gli elettori danesi hanno voluto mettere da parte la loro reputazione di paladini dell’accoglienza, seguendo l’esempio di Svezia e Norvegia.

Un clima da caccia alle streghe che respinge le persone e, allo stesso tempo, la visione idealistica delle socialdemocrazie scandinave. L’estrema destra guadagna consensi in una regione che ha, paradossalmente, bisogno di manodopera straniera.

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