Movimenti nazionalisti aspirano a entrare per la prima volta in una coalizione di governo
Elezioni impronosticabili. A un mese dal voto nel Regno Unito, ogni previsione può risultare audace.
Uno tra il primo ministro uscente, David Carmeron, e il leader laburista Ed Miliband, trascorrerà quattro anni a Dowing Street, ma il 7 maggio potrebbe decretare anche la fine del bipartitsmo britannico.
In un Parlamento senza maggioranza assoluta e di fronte alla batosta elettorale a cui sembrano destinati i libdem – il vicepremier Nick Clegg rischia di non essere rieletto – il vincitore potrebbe essere costretto a rivolgersi ai nazionalisti.
I movimenti territoriali sono in crescita e pronti a fare il pieno di consensi sui temi dell’immigrazione e della sanità. I partiti tradizionali si affrontano invece sui risultati economici e sul processo di integrazione europea.
David Cameron è in testa alle intenzioni di voto con il 34%. Il premier uscente chiede di ottenere un secondo mandato per “finire il lavoro”, sostenendo di essere stato l’artefice di una crescita record e del calo della disoccupazione sotto il 6%.
Si ripresenta con una promessa di ‘berlusconiana’ memoria: 2 milioni di posti di lavoro in 5 anni. “Non stiamo dicendo di credere a qualche previsione – ha detto Cameron – stiamo dicendo di credere alla creazione record di mille posti di lavoro al giorno e se ci atteniamo al piano per mantenere basse le tasse e per rendere la Gran Bretagna un luogo attraente per investire, formando personale qualificato e costruendo grandi infrastrutture, potremo creare quei posti di lavoro”.
Ed Miliband è dato un paio di punti dietro nelle intenzioni di voto. Il leader dei Labour definisce danni collaterali i cinque anni di austerity a guida Tory e vede un Paese dove la disuguaglianza cresce e la classe media è più povera.
“David Cameron ha provato e non è riuscito a difendere un’economia che fa perdere posti di lavoro e che ha peggiorato il servizio sanitario nazionale – sostiene Miliband – Il mio piano punta a costruire una ripresa che vada oltre la città di Londra e a salvare il nostro servizio sanitario, sapendo che solo quando i lavoratori hanno successo, la Gran Bretagna ha successo”.
Il risultato dello Ukip rappresenterà il sismografo del terremoto che promette di cambiare lo scacchiere politico britannico. Il suo leader, Nigel Farage, è riuscito a radicalizzare il dibattito sull’immigrazione e contro l’Europa, tanto da costringere anche David Cameron a promettere un referendum sull’adesione all’Unione europea.
“Ho messo in chiaro che, dopo il 7 maggio, se ci troveremo nella giusta posizione, pretenderemo di indire il referendum – promette Farage – E non sarà l’unico”.
Se lo Ukip apre a un governo di coalizione con i conservatori, i Labour, in caso di vittoria, potrebbero rivolgersi agli altri nazionalisti, quelli scozzesi, tra l’altro pronti a sottrarre alla sinistra diversi seggi oltre il Vallo di Adriano. Il voto del 7 maggio potrebbe spalancare la strada a un futuro federalista.