La riconciliazione tra Hamas e Olp, nell’estate del 2014, infiamma un contesto già teso. Il 12 giugno, 3 adolescenti israeliani vengono rapiti in Cisgiordania. I loro corpi privi di vita vengono ritrovati settimane più tardi e nel giorno dei loro funerali, un giovane palestinese viene rapito e bruciato vivo da estremisti ebrei.
La tensione esplode. Hamas intensifica il lancio di razzi verso Israele. La risposta è immediata: migliaia di uomini e mezzi militari sono dispiegati al confine con la Striscia di Gaza. Il nome dell’operazione è “Margine di protezione”.
L’8 luglio una pioggia di bombe cade su Gaza. Gli obiettivi dichiarati sono le case dei membri di Hamas. In un solo giorno, oltre 10 bambini vengono uccisi nei bombardamenti.
Per Gaza è un’estate di sangue, durante la quale sono quotidiane le parole incursione, distruzione e morte. Dopo le bombe, inizia la seconda fase: l’esercito israeliano lancia un’offensiva di terra per distruggere i tunnel sotterranei che collegano Gaza a Israele. Nel frattempo i bombardamenti non si fermano. Il cessate il fuoco continua a non essere rispettato su entrambi i fronti. La popolazione civile è intrappolata.
Hamas, le Brigate Ezzedin al-Qassam e la Jihad islamica palestinese non interrompono i lanci di razzi su Israele. La maggior parte di questi sono neutralizzati dal sistema di difesa Iron Dome. Alcuni raggiungono il sud dello Stato ebraico.
Nessun vincitore, tanti vinti. Quando alla fine di agosto, i soldati israeliani lasciano la Striscia di Gaza, la situazione è drammatica. La distruzione è ovunque, la situazione umanitaria è catastrofica. Saranno oltre 2.100 i morti palestinesi, il 70% dei quali civili, compresi 500 bambini. 69 le vittime israeliane, tra loro 5 civili.